di Alessandro Distante

Un normale fine settimana, passato tra incontri casuali, appuntamenti e shopping, mi consegna un quadro che ritrovo nelle indagini sul Mezzogiorno.

E’ di questi giorni la pubblicazione del “Rapporto Sud” redatto da tre importanti istituti e centri di ricerca quali Ance, Svimez e Cresme.

I dati sono allarmanti: la migrazione giovanile non conosce soste.

Tra il 2013 e il 2017 il Mezzogiorno ha perso 228.000 abitanti, come se fosse sparita una città pari a più del doppio di tutta Lecce.

L’emigrazione ha interessato giovani che hanno lasciato il Sud per il Nord d’Italia ed anche per l’estero con la ferma intenzione e questo è il dato che più mi ha colpito di non farvi ritorno.

A cena ho incontrato i miei compagni di scuola elementare. Tante vite che si ritrovano e tante storie da raccontare. Dopo la solita domanda su come stai e su cosa fai, subito quella sui figli. Cosa fanno e dove stanno.

E qui i dati del Rapporto sul Sud sono diventati nomi e volti: la maggior parte dei figli è fuori al Nord oppure all’estero dove studiano o lavorano.

“Mia figlia si è laureata brillantemente; ha prima lavorato fuori, in Inghilterra poi è venuta qui a Tricase; sì, ha lavorato anche qui, ma senza prospettive. Ora è tornata in Inghilterra e lavora a Londra. Andremo a trovarla a Novembre; non intende più tornare in Salento: lì si trova bene, la pagano come si deve e la stanno integrando e valorizzando”.

E i tuoi? chiedo ad un altro amico: “Tutti fuori: uno lavora a Milano, dove si è laureato ed ha trovato subito lavoro. L’altra a Torino, lavora in una grande industria grazie alla laurea conseguita. Non penso che faranno ritorno a Tricase. Qui non troverebbero un lavoro adeguato agli studi fatti”.

Interviene un altro compagno di classe per dirmi che i suoi figli sono tutti e due al Nord dove lavorano come Carabinieri. Solo la figlia di un’amica lavora a Lecce, ma nel campo della sanità, perchè i malati ci sono dappertutto, anche al Sud.

Il giorno dopo sono andato a fare la spesa settimanale ed al supermercato ho incontrato una coppia di amici. E tua figlia? “Lavorava al Nord; poi ha provato a tornare qui a Tricase. Ora lavora come volontaria, ma solo per fare esperienza nell’attesa di un posto, ma il problema è che è sola e disorientata. Le sue amiche sono tutte fuori. Qui non è rimasto nessuno e quindi non si ritrova più. Sta pensando di tornare al Nord”.

E’ un aspetto che nei dati delle ricerche non avevo trovato; lì, numeri spietati ma aridi, qui, al supermercato, quello che non fa numero ma che conta allo stesso modo.

La questione forse non è soltanto, o tanto, di trovare qualcosa per sopravvivere, sia esso un lavoro qualunque, oppure di avere un sussidio; la questione, per un giovane, è anche di qualità della vita, di legami che si spezzano, del senso di vuoto che si fa strada, del percepire che il mondo che c’è intorno invecchia e loro sono sempre più soli.

Ritrovo quanto avevo letto nel Rapporto Sud: tra il 2008 ed il 2017 il Mezzogiorno ha perso circa mezzo milione di occupati tra i giovani, mentre è cresciuto quasi dello stesso numero quello degli occupati ultra 55 enni. I posti -se va bene- non si perdono, ma non ce ne sono per i giovani.

Se poi chiedo cosa fanno i ragazzi che rimangono, mi sento dire che sono quelli meno attrezzati, che non hanno studiato o che hanno già alle spalle vite di famiglie difficili; non sono pochi quelli che sopravvivono mantenuti dalle pensioni dei nonni, fino a quando dureranno, ma capita spesso di vederli con una birra in mano anche di prima mattina.

“Quello che preoccupa me e mia moglie –mi confida l’amico incontrato per caso al supermercato è che nostra figlia non vede prospettive per il futuro, è triste e senza speranza e noi che possiamo dirle? Vai via, figlia mia”.

 

 

di Pino Greco

Le prime piogge non hanno trovato impreparato il Comune di Tricase.

E’ di questi giorni la ultimazione dei lavori di adeguamento del recapito finale della rete pluviale cittadina o, per dirla in termini più comprensibili, della vasca nella quale confluiscono le acque piovane per essere trattate prima di essere sversate nel Canale del Rio.

foto di Costantino De Giuseppe

Erano anni che il fenomeno dello sversamento diretto delle acque di pioggia raccolte nel territorio comunale causava non pochi problemi e non poco sconcerto; lo sversamento diretto di quelle acque, senza alcun trattamento, era la causa di spettacoli poco piacevoli con il Canale del Rio che finiva spesso per cambiare di colore e ospitare acque non proprio limpide.

Ora tutto questo dovrebbe essere finito; il Comune ha portato a termine un’opera, costata circa 600 mila euro, di adeguamento del recapito finale.

Le acque piovane, che venivano già fatte confluire nella rete cittadina di fogna bianca, subiranno un trattamento di grigliatura e sedimentazione in una vasca sita nei pressi dell’impianto di depurazione; in questo modo le acque piovane verranno separate da eventuali corpi solidi trascinati durante il percorso e poi, attraverso un processo di decantazione e dissabbiatura, verranno reimmesse nella condotta che le porterà nel Canale del Rio.

L’intervento venne approvato nel maggio del 2015 dall’Amministrazione Coppola ed è stato portato a termine dalla nuova Amministrazione guidata dal Sindaco Carlo Chiuri che ha ultimato i lavori e superato alcune problematiche tecniche e giudiziarie.

 

 

Scrive una mamma...

Parliamo di strade? Mi va bene. Parliamo di rifiuti? Anche questo mi va bene. Ma parliamo un pò di scuola. Parliamo del servizio trasporti. No, non di quello estivo.

Parliamo del servizio trasporti per le SCUOLE. Per le scuole ELEMENTARI di Tricase per la precisione.

Possiamo parlarne? Si aprirebbe un mondo fatto di domande da parte di noi mamme che vertono sulla sicurezza dei nostri figli. Il servizio è partito in ritardo (si parlava del 24 settembre, poi del 1 ottobre), ma per alcuni non è partito affatto. Vi sono giunte le lamentele?

Oggi ho cancellato i miei 2 figli e non per il fatto che da casa non siano passati (perché NON sono passati dato che uno dei miei figli non era stato inserito nell'elenco nonostante avessi presentato domanda i primi di settembre), ma perché i bambini vengono portati a scuola e poi lasciati fuori fino all'apertura dei cancelli.

Ora se ho ben capito, la responsabilità dei conducenti (ovviamente) termina nel momento in cui giungono a destinazione (a scuola per l'appunto) e la responsabilità della scuola inizia con l'apertura della stessa...

Ma mi domando: nel lasso di tempo che va dall'arrivo all'apertura questi bambini sotto quale responsabilità si trovano?? Dovesse succedere qualcosa di irreparabile (il bambino attraversa la strada, viene spintonato cade e si fa male, ha un malore, passa un tipo strano...) la responsabilità su chi cade??! No me lo chiedo perché, se è vero che ci sono fatti di estrema importanza di cui parlare, voi politici dovreste avere come priorità i bambini e poi tutto il resto!!

Come per le materne noi chiediamo che venga fatta chiarezza e messo al servizio una figura che si occupi di portare i bambini che arrivano col pulmino all'interno della scuola per affidarli ai collaboratori che provvederanno allo smistamento degli stessi nelle diverse aule.

Così si fa se volete farvi pagare un servizio. Noi affidiamo i nostri figli alle vostre mani.

È sconcertante sapere che non sono coperti da protezione alcuna fino all'ingresso in aula.
Grazie a chi mi illuminerà.

di Salvatore Ponzetta

In queste settimane, ho potuto leggere su varie testate giornalistiche locali, la problematica riguardante la chiusura della scuola materna della frazione di Depressa, ultimo baluardo dell'istruzione e fiore all'occhiello della stessa frazione, e quanto accaduto, non può essere lasciato nel dimenticatoio. 

Personalmente, non sono a conoscenza, e  ne tanto meno mi posso permettere a elevarmi a dare giudizi, in merito alla chiusura della scuola materna della suddetta comunità.

Ma quanto accaduto a Depressa, non può essere lasciato che rimanga al buio ma che possa essere di riflessione ad  altri, perché un domani prossimo futuro, potrebbe verificarsi anche nell'altra frazione cioé a Lucugnano, comunità dove vivo e dove ho frequentato la materna, le elementari e le medie e da allora dal mio primo ingresso a scuola sono passati ben 56 anni, e dopo tutto questo anni,  si è riusciti a mantene re ancora i tre livelli scolastici, scuola materna, elementare e media, e non so fino a quanto tempo ci possiamo riuscire.

E sì perché la permanenza delle tre scuole, si potrebbe scretorale dall'oggi al domani, perché oltre al calo delle presenze di bambini, calo dovuto  alle poche  nascite, dobbiamo confrontarci all'emigrazione di ragazzi che vengono iscritti dai propri genitori presso le strutture scolastiche presenti a Tricase, fenomeno che porterà nel breve tempo la chiusura delle scuole in successione, fenomeno che involontariamente crea disagi per coloro che rimangono iscritti nel plesso di Lucugnano.

Disagi e problematiche, che sino ad oggi si sono risolti con il mantenimento e costituzioni delle varie classi a Lucugnano, come si è verificato prima dell'inizio dell'anno scolastico 2018-2019, che si è riusciti a formare la classe I° media,  formata a fatica se non erro da 11 ragazzi, perché altri sei  sono stati iscritti  in altre scuole a Tricase denigrando le scuole del luogo, da dove in tutti questi anni si sono formati tutti i nostri ragazzi ed ognuno ha raggiunto il suo grado di eccellenza nella propria formazione personale e professionale.

Con questo, non voglio e non mi permetto di dare giudizi, o ulteriori commenti personali, nei confronti di quei genitori che hanno preferito di iscrivere i propri figli in altre scuole, volontà che voglio e vanno rispettate. 

Per questo voglio concludere la mia riflessione, lasciando le ulteriori riflessioni a riguardo  ai posteri, che vedranno la loro comunità di Lucugnano come lo è oggi Depressa, con contenitori culturali vuoti, perché i nostri futuri ragazzi non avranno la possibilità di formarsi inizialmente  nelle mura della loro comunità, perché privati delle elementari strutture primarie di insegnamento, come sono le scuole.

 

di Ercole Morciano

Fu sotto Ferdinando II di Borbone, penultimo re delle Due Sicilie, che «il comune di Depressa aggregato a quello di Tricase in Terra d’Otranto» fu autorizzato a «tenere una fiera annuale ne’ giorni 26 e 27 di settembre», ovvero nella ricorrenza della festa dei santi medici Cosma e Damiano che la Chiesa ricorda in quei giorni. È il contenuto del decreto reale n.1531 dato a Napoli il 25 settembre 1854 e pubblicato al n. 72 della “Collezione delle Leggi e de’ Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie” dell’anno 1854.

Ringrazio, per la “scoperta”, Donato Antonaci dell’Abate, che ha esposto il documento nell’ambito della mostra sulla Tricase del passato da lui curata nelle sale di palazzo Gallone da luglio a settembre e che, nella probabile estensione, sarà visitabile fino a dicembre.

Tornando al decreto, possiamo trarne alcune notazioni per inquadrarlo nel suo contesto e rapportarlo al presente.

Ferdinando II, nato a Palermo nel 1810, cinse la corona nel 1830 e la mantenne fino alla morte, nel 1859. Inizialmente riformatore, il suo anno cruciale fu il 1848: prima concesse la Costituzione e poi la ritirò per volgersi verso una deriva assolutista e accentratrice. Proprio nel 1848 ebbe uno scontro diretto col nostro Giuseppe Pisanelli che si era recato presso di lui con altri deputati liberali per perorare la causa della Costituzione.

Pisanelli venne con disprezzo apostrofato “pagliè”, paglietta, avvocato da strapazzo. Ferdinando II morì nel 1859, circa 5 anni dopo la promulgazione del decreto per la fiera di Depressa e gli successe il figlio Francesco II che fu re fino al 1861, quando lasciò Napoli in seguito alla “impresa dei Mille” comandata da Garibaldi.

Sindaco di Tricase, nel 1854, era l’avv. Salvatore Raeli; arciprete di Depressa era don Vincenzo Piccinni (1849-1883). Depressa contava circa 600 abitanti; già “universitas”, era all’epoca «comune aggregato a quello di Tricase» a causa della riforma amministrativa avviata dai Napoleonidi (1806-1815) e mantenuta in seguito dai Borbone ritornati a Napoli; con l’avvento del regno d’Italia (1861)  i “comuni aggregati” prenderanno il nome di “frazioni”. Finalmente Depressa realizzava l’antica aspirazione ad avere una propria fiera per solennizzare ancor più la devozione ai santi Cosma e Damiano.

Una fiera non era solo fonte di profitto per la vendita dei prodotti quasi tutti locali nell’ambito di un’economia arcaica e prettamente agricola, rappresentava anche un elemento di prestigio per il paese e i suoi abitanti.  E Depressa aveva superato l’esame istruttorio al quale faceva riferimento il reale decreto: «serbate le prescrizioni contenute nelle sovrane determinazioni del primo di giugno 1826 e degli 8 di giugno 1853». In pratica fiere e mercati non si dovevano tenere di domenica o in altri giorni di precetto per non distogliere i regnicoli dai doveri religiosi e l’altra condizione era che non ci fossero fiere nello stesso periodo nei paesi circostanti.

Ora la fiera dei SS. Medici non si tiene più perché sono cambiati gli scenari economici che la giustificavano; verso i santi rimangono invece ben saldi il culto e la devozione di Depressa che affondano la loro radice nel lontano passato.

Duole invece sapere che il paese ha perduto la sezione di scuola dell’infanzia: l’ultimo baluardo della pubblica istruzione. Non è questa la sede per fare un rapporto costi-benefici, ma ciò comporterà la diaspora dei bambini, disagi per loro e le loro famiglie e diventerà ancor più difficile mantenere la specificità della loro appartenenza, che non è un limite ma un bene prezioso.  

 

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