di Alessandro DISTANTE

LA 167 UN NUMERO TANTE STORIE

Dopo aver dedicato uno speciale a Depressa, con questo servizio passiamo ad esaminare un quartiere “difficile” quale è la 167 situato a Tricase (rione Caprarica) nelle vie Costantino, Tiberio e Siciliani.

 “L’urbanistica è l’arte di costruire le città. Oggi preferisco dire: l’arte di capire le città. Capire le comunità e le loro particolarità, capire perché gli uomini si ostinino a voler vivere insieme. Ovviamente vogliono vivere insieme per sopravvivere (…) E anche nel caso sconvolgente di creazione ex novo di un luogo urbano, se è una città che si vuole, è necessario aver bene presente la comunità che vi si insedierà, altrimenti sono solo muri” (Luigi Za, Il territorio e il costruito, a colloquio con Marcello Fabbri, Minutodarco editore, 2012).

L’ing. Marcello Fabbri venne incaricato dal Comune di Tricase nel 1960 della redazione del primo Piano Regolatore della Città. L’incarico non giunse al termine e si concluse con la crisi dell’Amministrazione Comunale guidata dal sindaco Cassati. L’idea di uno sviluppo ordinato ed “umano” della edilizia e della progettazione dei quartieri -della quale Fabbri era portatore- è fondamentale per scongiurare una crescita disordinata e disarmonica della Città, della quale anche la nostra zona 167 è una testimonianza.

GENESI DI UN QUARTIERE DIFFICILE

L’insediamento zona 167, per la parte dove sono ubicati gli alloggi popolari, nasce dalla attuazione, a fine anni Settanta/primi anni Ottanta, di una legge che ha dato poi il nome a simili interventi di edilizia pubblica: “167”. Si tratta infatti della legge n. 167 del 1962 che assegnava ai Comuni il compito di approvare un Piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico.

In attuazione di quella Legge, il Comune avviò un intervento finalizzato a dare risposta alle situazioni di maggiore emergenza abitativa; per una parte, le aree espropriate vennero assegnate a cooperative edilizie che si impegnavano –così come è poi accaduto- a realizzare interventi abitativi per alloggi da consegnare ai soci delle stesse, e, per altro verso, all’IACP per la costruzione di alloggi da concedere in locazione (a prezzi calmierati) a fasce della popolazione che versavano in situazioni di particolare disagio economico.

In queste pagine, ci occuperemo di questo secondo tipo di intervento e quindi di quegli alloggi che si trovano in quello che, una volta, veniva, in maniera inaccettabile e dispregiativa, definito il “bronx”.

Per realizzare gli interventi edilizi, il Comune procedette alla espropriazione di terreni che erano, per la maggior parte, con destinazione agricola e quindi al di fuori di quello che, all’epoca, era il centro abitato.

La Legge, invero, dava la preferenza, nella scelta delle aree dove attuare il Piano, a quelle di espansione dell’aggregato urbano e consentiva di inserire nel Piano anche le aree sulle quali insistevano immobili la cui demolizione o trasformazione fosse richiesta da ragioni igienico-sanitarie.  Anche Tricase, come quasi tutti i Comuni, scelse di intervenire non con la ristrutturazione degli immobili mal messi, così lasciando gli abitanti nei luoghi dove avevano vissuto (molti nel centro storico), ma optò per la realizzazione di alloggi nuovi, anche se collocati in una zona periferica della Città.

Gli interventi di edilizia popolare hanno creato in tutta Italia non pochi problemi ed hanno fatto sorgere situazioni di criticità sociale; basti pensare a cosa accade a Napoli (Scampia) o Palermo (Le vele) o in altre Città. La caratteristica che accomuna tutti questi interventi, compreso Tricase, è la localizzazione in aree periferiche delle città, fino al punto che, se non separati dal nucleo urbano (come pure talvolta è accaduto), sono comunque in zone marginali. Già questo costituisce il punto critico di partenza che poi spiega l’origine del disagio attuale.

A ciò si aggiunge la carenza, come accaduto a Tricase, di servizi o di esercizi pubblici e privati, con la conseguenza che, per lo più, i quartieri 167 diventano dormitori. A dire il vero il Piano aveva previsto spazi verdi, luoghi e impianti di interesse pubblico ed anche per edifici pubblici o di culto ma localizzando quegli interventi nella parte del Piano dove si sono insediate le cooperative edilizie, mentre la parte destinata alle case popolari è rimasta del tutto sfornita di tali opere e servizi.

Il riferimento non è solo a piazze o parchi pubblici, ma anche a centri di aggregazione sociale e a quei luoghi o non luoghi di incontro e di naturale e tradizionale socialità che nei paesi erano, e talvolta ancora sono, i bar, le puteche, i negozietti di generi alimentari oppure i servizi essenziali come i barbieri o i piccoli laboratori artigianali.

Nulla di tutto questo, conseguenza di una concezione edilizio-urbanistica che, nonostante le buone intenzioni, si è rivelata socialmente fallimentare.

Si è data risposta all’emergenza abitativa –e ciò non è obiettivamente poca cosa- ma si sono creati i presupposti per situazioni di problematica vivibilità e di scarsa socializzazione che, a loro volta, sono generatrici di criticità sociali se non addirittura di ordine pubblico.

Anche la tipologia costruttiva delle palazzine (condomini per lo più a tre piani) è molto diversa dalle abitazioni nelle quali alcune delle famiglie hanno vissuto, seppure in condizioni di disagio inaccettabile.

Specialmente i nuclei familiari di primo insediamento sono stati trapiantati in quel nuovo quartiere, lasciando ed interrompendo i legami con quei luoghi nei quali erano riconosciuti, anche se talvolta emarginati. La diversità di ubicazione e di tipologia delle abitazioni loro assegnate spiega perché, andando nel quartiere, si osservano spesso le persone affacciate ai balconi come se stessero prendendo il fresco sull’uscio delle case che un tempo abitavano.

Anche la viabilità rimarca il senso di separazione ed emarginazione; le vie all’interno delimitano i palazzi e non sono collegate con il flusso del traffico; fino a qualche anno fa, addirittura, un muro separava, anche visivamente, quegli insediamenti dal resto della Città, come se questa non volesse neppure vedere un’altra parte e un’altra componente della popolazione residente.

LA SITUAZIONE A TRICASE

Gli alloggi assegnati sono ad oggi 46 per altrettanti nuclei familiari. Ultimamente su 84 domande di alloggi, si è proceduto con 18 assegnazioni e 2 rinunce. In graduatoria vi sono ancora 57 famiglie in attesa di alloggio, segno che il bisogno abitativo è una urgente necessità.

Sono state segnalate nove occupazioni abusive e circa una diecina di appartamenti necessitano di interventi di manutenzione straordinaria se non addirittura di ristrutturazione.

Un piccolo nucleo di edilizia popolare si trova a Marina Serra e a Tricase Porto ma il grosso dell’intervento è in Tricase su via Costantino, via Tiberio e via Siciliani.

Come in tutti i condomini, anche in quelli della 167, i problemi non mancano, ma sono –per così dire- accentuati. Un problema particolare è quello delle utenze comuni con debiti nei confronti dei fornitori che giungono a minacciare distacchi su servizi essenziali. Accade così che alcuni inquilini non pagano le quote dovute e che altri appartamenti, occupati abusivamente, non partecipano alla ripartizione die costi. Tutto questo genera distorsioni con la conseguenza che la morosità di alcuni si scarica anche su chi paga regolarmente.

I LUOGHI DELLA SOCIALITA’

Le recenti assegnazioni, cominciate un paio d’anni fa, hanno cambiato la fisionomia del quartiere ed aumentato un controllo diffuso interno.

Accanto a questo segnale positivo e che lascia ben sperare, non mancano, tuttavia, episodi di teppismo che giungono fino a minacciare chi tenta di intervenire.

Nelle strade antistanti i nuclei abitativi si fermano gruppi di minori e di giovani che la fanno da padroni. Lo spazio di socialità rimane la strada, unico luogo dove, non a caso, si danno convegno soprattutto i ragazzi e i giovani. Al di là di qualche partita a pallone, sempre per strada e con naturale disturbo per la quiete dei residenti, non vi sono occasioni e momenti dove vivere al meglio il tempo libero e spesso gli incontri di gruppetti di ragazzi finiscono per essere il punto di partenza per altre forme di protagonismo, non sempre accettabili.  La fine del periodo dell’obbligo scolastico segna, talvolta, l’inizio di un periodo di non occupazione che apre spazi di “tempo libero” che vengono riempiti con la disponibilità a lavoretti di vario genere.

Il rischio è che la voglia di emergere e di guadagnare e comunque di sentirsi importanti e con un ruolo porti questi giovani a offrirsi come pedine utili, magari di altre persone che vengono da fuori, per imprese poco nobili. Purtroppo non sono mancati casi di micro criminalità e di traffici di dubbia liceità che hanno visto come autori e/o referenti giovanissimi ragazzi figli di quel disagio sociale.

Difficile l’opera dei Servizi sociali, sempre a corto di personale, come scarsa è la presenza di altre istituzioni, pubbliche o private.

La presenza avvertita delle Istituzioni in questa realtà si riduce, sostanzialmente, a quelle delle Forze dell’Ordine. I passaggi e le visite di controllo da parte dei Carabinieri e della Polizia Municipale, che pure intervengono su segnalazione oppure per un normale giro di controllo, non possono rispondere adeguatamente alla domanda di tranquillità che spesso viene rappresentata da parte dei residenti.

I controlli giungono spesso quando il problema o la segnalazione è già superata e al solo apparire delle auto delle Forze dell’Ordine la condotta rientra nei normali canoni di gruppi di ragazzini che si divertono a giocare o, semplicemente, a stare insieme.

OCCASIONI PERSE

In passato non sono mancate idee per un intervento sociale nella zona. Durante l’Amministrazione Coppola venne approvato con la Regione Puglia un progetto di rigenerazione urbana che comprendeva, al suo interno, anche un Laboratorio Urbano Giovanile; un intervento di presenza e di animazione sociale che avrebbe dovuto avere come principali protagonisti i ragazzi del quartiere.

L’idea, che mirava ad aprire nei pressi di quella zona, un centro sociale con il coinvolgimento di numerose associazioni, non ebbe mai vita, o, meglio, venne realizzata ma nel centro storico di Tricase. Motivo? Il mancato reperimento di un locale idoneo ad ospitare il Laboratorio.

La rigenerazione urbana, per quanto riguarda opere infrastrutturali, ha così interessato la zona adiacente al così detto Bronx e cioè la zona degli insediamenti di edilizia residenziale convenzionata.

IL SINDACO DE DONNO CI DICE

“Il problema –ci dice il sindaco De Donno- è all’attenzione dell’Amministrazione Comunale. Stiamo cercando di inventarci forme di presenza costante. Per questo, di intesa con Arca Sud, vogliamo portare avanti un’idea per realizzare un luogo di socialità per i ragazzi che lì vivono. Non è facile, perché in quel quartiere vi sono soltanto edifici con le caratteristiche di residenza e destinati alla abitazione di famiglie che ne hanno bisogno. Tuttavia stiamo cercando la forma giuridica che ci consenta di prendere in uso uno degli appartamenti per ubicarvi un luogo aperto ai ragazzi. Debbo dire che per l’estate possiamo fare qualcosa fuori, all’aperto ed in tal senso abbiamo acquisito la disponibilità di alcuni volontari, ma, per il resto dell’anno, è difficile trovare una soluzione”.

Sempre a proposito di viabilità….

di Gian Paolo ZIPPO

Tornando a parlare di viabilità una cosa che mi sono sempre chiesto è: “perché occludere il prolungamento di Via Aldo Moro, anziché creare un collegamento con la strada extra-murale (Corso Ottaviano Augusto) e permettere quindi un facile afflusso/deflusso a/da Tricase di tutto il traffico veicolare da/per il Capo di Leuca”?

Specie adesso che la concentrazione di esercizi commerciali in quella zona è aumentata tantissimo.

Eppure sembra che originariamente doveva essere così! Infatti, se si fa attenzione, il tratto di strada (a due corsie) che costeggia la zona delle case popolari si interrompe bruscamente, lasciando intendere che da lì si doveva arrivare verso Corso Ottaviano Augusto Cui prodest?

Peraltro, l’aver intercluso dei monconi di strada intorno a quella zona non ha fatto altro che peggiorare l’isolamento di un intero quartiere che non ha nessun’apertura verso il resto del paese, se non degli accessi limitati alle stradine retrostanti!

Le erbacce e l’incuria delle strade ne sono una testimonianza: si è passati da un “muro reale” (finalmente abbattuto) ad un “muro urbanistico” generato da una viabilità che non facilita la libera circolazione in quella zona.  L’inclusione, termine oggi tanto in voga, parte anche da questo!

E giacché stiamo parlando di viabilità nella Zona 167, sarebbe il caso di prendere dei provvedimenti per regolamentare meglio l’incrocio nei pressi di Pausa Caffè, dove le auto sfrecciano a velocità sostenuta su Corso Giulio Cesare ignorando completamente lo STOP…l’attraversamento di quell’incrocio è ormai diventato veramente complicato e rischioso!

Considerata l’alta densità abitativa della zona si dovrebbe intervenire con urgenza.

Sempre da cittadino e da utente della strada penso che le soluzioni ci siano…

di Alfredo DE GIUSEPPE

Nel marzo 2013, mentre si stavano effettuando dei lavori di risistemazione viaria intorno alla 167, per completare un progetto finanziato di rigenerazione urbana, il Volantino pubblicò un mio articolo col titolo "Lavori in corso...pessimi" – che raccoglieva il grido di dolore, direi di buon senso, dei residenti di quella zona. Ero stato facile profeta nel dire, già nel 2008, che la mancata continuazione di Via Aldo Moro fino a via Lecce sarebbe stato un disastro dal punto di vista urbanistico, viario e soprattutto antropologico, evidenziando in maniera netta e definitiva la ghettizzazione di quel comparto abitativo. Le reazioni dei tecnici interessati e dell’allora sindaco furono veementi e fuorvianti. Le ragioni dei residenti furono vissute come inutili proteste di chi non comprende le alte strategie urbanistiche e residenziali dei pochi illuminati chiamati a disquisire della materia. I risultati, dopo 10 anni,  sono sotto gli occhi di tutti, ma grazie a Dio, nessuno in questo paese osa mai fare un po’ di autocritica. (https://www.alfredodegiuseppe.it/index.php/archivio-2013/213-lavori-in-corso-pessimi)

Lavori in corso...pessimi

Parliamo della nuova sistemazione viaria della zona 167. La parte che da sempre viene definita Bronx è in una situazione di solitudine, ghettizzata, non si sa quanto volutamente, sin dal progetto originario. Sarà un caso ma il primo insediamento era stato progettato ben lontano dalle altre case, dalla vita normale e così continua ad essere. C’era un solo progetto (di buon senso) per far decantare una situazione così degradata: fare una rotatoria all’incrocio fra via A. Moro e via G. Cesare e continuare la strada fino alla circonvallazione di via Lecce. Questo avrebbe fatto diventare la 167 il quartiere d’ingresso alla città di Tricase dalla parte sud, avrebbe valorizzato palazzi e strade, dato forse qualche possibilità di aprire negozi, distributori di benzina e posti di ritrovo. Invece che ti vanno a pensare i nostri tecnici?

Tutto con un bel marciapiede (facendone una specie di inutilizzabile pista ciclabile) e rendiamo le due 167 unite e quindi integrate. Niente di più assurdo: ora le due 167 sono entrambe ghettizzate e sempre disunite fra di loro. In compenso abbiamo ottenuto dei risultati paradossali:  una stradina tortuosa non asfaltata che dà in modo abusivo su via Lecce è frequentatissima, sia in entrata che in uscita, con grave rischio di incidenti; tentare di uscire da quella zona, ovunque si viva, è diventato un gioco labirintico, dove è facile andare a sbattere su qualche cordolo in cemento. Capitolo a parte (forse una tesi di laurea) meriterebbero in effetti i cordoli in cemento: i nostri tecnici ne sono innamorati, ne hanno previsto una quantità industriale, hanno giocato con la penna nel pensarli tondi, quadri, obliqui e oblunghi. Se solo avessero viaggiato un po’, anche senza studiare, avrebbero visto che tutte le vere piste ciclabili non sono su marciapiedi dai lati taglienti, ma a raso, divise dalle strade da semplici strisce gialle o da leggere balaustre in legno. Qui invece tutto all’insegna dell’inutile, del costoso e del pericoloso. Perché, perché? Quale forza sotterranea muove persone, anche oneste, nel progettare in modo così dissennato? Qui il problema non è prendersela con un’Amministrazione comunale o con un tecnico: a questa fantastica opera hanno lavorato, pare gratuitamente, il fior fiore dei tecnici tricasini, pare 20 (dicasi venti!) fra ingegneri, geometri, dipendenti comunali e laureati di vario tipo. Al di là dell’assurda sistemazione della zona 167, qui il problema è capire cosa muove le intelligenze in modo così perverso, tanto da incutere  in noi il terrore ogni qual volta si mette mano ad una nuova sistemazione, ad un restauro o ad un complessivo progetto urbano.

Cerchiamo di darci delle spiegazioni:

per quanto un bravo tecnico si sforzi, pare rimanere impigliato nel conformismo dominante dell’ambiente in cui vive e opera. Se qui è il momento dei cordoli in cemento, non ci sarà tecnico che sappia uscire da quella schifezza;

quando si progetta l’opera spesso si guarda al finanziamento e non alla sua reale utilità e al suo migliore utilizzo. Magari si insegue un bando di concorso regionale o europeo senza pensare davvero alle esigenze di chi vive in un particolare quartiere, trincerandosi spesso dietro parole vuote come “progettazione partecipata” o “cittadinanza attiva” (che significa riempire due paginette e non vivere ad esempio un mese dentro una casa popolare con le infiltrazioni d’acqua);

si ha paura di osare davvero. Come dimostrato da molte città europee, quando si progetta negli anni duemila, si deve portare una ventata di modernità nei colori, nei materiali, nelle soluzioni oppure si deve ricercare (anche con l’ausilio dei moderni mezzi tecnologici) il restauro più rigoroso e fedele che si possa immaginare;

per il solo fine di spendere, abbiamo perso il senso della semplicità, per cui quello che può essere fatto con pochi soldi ci appare sempre inadeguato e invece spesso è il contrario. Con poche e semplici accorgimenti si può rendere la vita più semplice e divertente senza interventi faraonici, (per esempio per una rotatoria basterebbe un albero o una bella pietra, dei segnali ben posizionati, e delle strisce a terra, mentre la provincia di Lecce spende fra 100 e 200 mila euro per ogni rotatoria, spesso errata e pericolosa);

spesso i tecnici sono succubi del volere di amministratori poco accorti, poco sensibili, poco informati e molto populisti. Tutto il resto è pressapochismo o malafede

in Distribuzione