di Alessandro DISTANTE

Mentre un ragazzo afghano giungeva nella nostra Città, accolto dalla comunità parrocchiale di Tutino, tanti suoi connazionali morivano sugli scogli a Cutro vicino Crotone.

Mentre il ragazzo afghano veniva accolto a Tricase dalle massime Autorità civili ed ecclesiali, le massime Autorità nazionali se la prendevano, a Crotone, con quelle madri che avevano messo in pericolo le vite dei propri figli.

Mentre canali umanitari portavano a Tricase quel ragazzo afghano, canali disumani portavano nell’abisso del mare altri ragazzi afghani, iraniani e pakistani.

Una speranza prendeva corpo in un ragazzo, la disperazione si trasformava in tragedia per tanti altri.

Due realtà opposte: da un lato l’accoglienza, dall’altra il respingimento; da una parte lo sfruttamento operato dai trafficanti di essere umani, dall’altra la generosità di una comunità che si apre al soccorso dell’immigrato.

Due logiche si confrontano: quella di polizia, per la quale, in nome della legge della terra, l’imperativo è non far partire i barconi carichi di “clandestini” e quella di chi, in nome delle leggi del mare, salva le vite nel segno di un’umanità che è valore supremo al quale le leggi devono essere conformate.

Speranza e disperazione, due termini contrapporti come sono contrapposti la paura della invasione e la gioia dell’aiuto. Eppure sono contrapposizioni che devono essere risolte: dalla disperazione alla speranza, dalla paura alla gioia. E’ questo il percorso del ragazzo afghano giunto a Tricase. Non è stato così per le vittime di Cutro, persone fuggite per disperazione e finite annegate nella disperazione.

E noi che c’entriamo in tutto questo?

La Caritas diocesana ha lanciato un appello all’accoglienza; “tutti da parte di Zeus vengono gli ospiti e i poveri”(Omero, Odissea, Libro 14^, 57-58), e l’antica civiltà non distingueva il profugo vittima di guerra o di persecuzioni da quello (povero) che ha fame e sete.

Un appello accolto dalla comunità di Tutino; il giovane afghano certamente ci aiuterà a comprendere che la risposta ad una disperata richiesta di aiuto non può essere costruire muri o mettere navi a pattugliare le coste, ma costruire canali umanitari, per favorire un’accoglienza dignitosa per chi arriva ed utile ad una parte del mondo che sembra aver dimenticato l’umanità.

 

 

 

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