di Ercole Morciano 94 sono i giovani tricasini caduti durante la prima guerra mondiale (1915-1918). L’elenco dei loro nomi incisi sulla base marmorea del monumento bronzeo che Tricase tutta, frazioni comprese, ha voluto dedicare ai Caduti delle due guerre, ci fa capire come quella tragedia abbia colpito tante famiglie, molte ancora oggi esistenti, indipendentemente da ogni differenza sociale.
Tra le quasi cento “storie” che andrebbero conosciute va messa in risalto quella del giovanissimo sottotenente Giuseppe Ingletti morto cento anni fa il 22 novembre 1917, e con lui vogliamo ricordare tutti gli altri.
foto inviata da Mario Ingletti
Non è facile scrivere di tali fatti, perché si corre il rischio di scadere nella retorica; occorre invece sfrondare da ogni enfasi mistificatoria l’amara realtà vissuta da tanti giovani al fronte, nell’inferno delle trincee, tra sofferenze indescrivibili, con la prospettiva della morte a causa del nemico - o peggio fucilati dai propri commilitoni in caso di rifiuto o dissenso -, della malattia, dell’indigenza, della dura prigionia, per ideali collegati al compimento del risorgimento forse sconosciuti a molti o, come affermato dalla parte neutralista, per territori che l’Italia poteva ottenere senza entrare in guerra. Vi furono nel corso del primo conflitto mondiale molti episodi di valore e, pur nella convinzione che sono beati i popoli che non hanno bisogno di eroi (come afferma Bertold Brecht), ricordare persone che hanno dato la vita per la patria, che sono morte per un giusto ideale è opera civilmente degna e doverosa.
Giuseppe Ingletti nasce il 12 luglio 1898 da Gennaro, avvocato e più volte sindaco di Tricase tra fine ‘800 e primi del ‘900, e da Maria Antonietta Gorgoni, del patriziato galatinese. Egli è l’ultimo dei maschi della famiglia composta da 9 figli. Diplomatosi all’istituto tecnico, viene mobilitato subito dopo con la sua classe nel febbraio 1917. Non ha ancora compiuto 19 anni; completato il corso allievi ufficiali e conseguito il grado di sottotenente di complemento, è assegnato al I° reggimento di fanteria della brigata “Re”. Al fronte Giuseppe ha già due fratelli più grandi d’età, entrambi giovani ufficiali: Vincenzo e Mario (futuro direttore ACAIT); ne ha perduto un altro, Luigi. Nato il 4 aprile 1895, Luigi è morto il 7 novembre 1915, a vent’anni, per le ferite riportate nel corso del combattimento sul medio Isonzo.
In seguito alla ritirata dopo la disfatta di Caporetto, la Brigata “Re” il 21 novembre si attesta «a presidio della seconda linea di resistenza lungo il costone sulle pendici orientali del monte Tomba», massiccio del Grappa e lungo il corso del Piave. Il 22 novembre gli austro-tedeschi iniziano l’attacco per sfondare la linea italiana e dilagare in pianura. Quella stessa mattina, il sottotenente Giuseppe Ingletti, al fronte da circa un mese, scrive ai suoi famigliari «rassicurando i genitori e chiedendo notizie del fratello Mario». È l’ultima sua lettera. Nel corso del combattimento il giovanissimo ufficiale tricasino è colpito a morte mentre «in testa al suo reparto contrattacca incitando i suoi soldati al combattimento». Gli verrà conferita la medaglia d’argento al valor militare, per aver contribuito con la propria vita ad arginare l’avanzata degli invasori dando prova di coraggio e di abnegazione.
Come tricasini dobbiamo dire grazie a Guido Sodero, medico di professione, che sulla prima guerra mondiale è un’autorità nazionale, perché con grande passione e competenza ricerca e raccoglie foto e documenti d’archivio riguardanti i nostri Caduti; e grazie a Donato Antonaci Dell’Abate per la mostra a soggetto che a palazzo Gallone espone materiale raro e interessantissimo, mettendo in contatto il visitatore con quel tragico periodo bellico di 100 anni fa. La grande storia, le “storie” personali, la ricerca di documenti, di foto e oggetti, le mostre, i centenari, servano nel loro insieme, anche nel nostro ambiente, a rendere sempre attuale il monito “mai più la guerra!”.
di Pino Greco Giudice di Pace a rischio chiusura: il cancelliere va in pensione
Il presidente dell’ordine degli avvocati, Roberta Altavilla:
queste strutture devono essere a sevizio dei cittadini è importante la loro funzionalità.
Fernando Melcarne , dipendente del Comune di Tiggiano, figura indispensabile per il funzionamento dell’ufficio di giudiziario, va in pensione.
Tricase, e’ sabato 2 dicembre. In una affollata assemblea, gli avvocati hanno convocato i sindaci, non tutti presenti, del comprensorio dei Comuni di Tricase, Castro, Diso, Miggiano, Montesano, Specchia, Tiggiano, Andrano , nella sede del Giudice di Pace di Tricase.
Alla riunione era presente l’avv. Roberta Altavilla, presidente dell’ordine degli avvocati.
L’oggetto dell’incontro è quello di sollecitare la nomina di un cancelliere, che prima affianchi e poi sostituisca il funzionario Fernando Melcarne, che avrà il collocamento in pensione la prossima estate
La carenza di personale è purtroppo oramai un problema frequente per gli tutti gli uffici giudiziari nazionali, e in questo periodo tocca particolarmente la sede di Tricase, laddove il personale amministrativo è già ridotto ai minimi termini.
Tutti i professionisti intervenuti all’assemblea, del resto, hanno ribadito che l’assenza di un cancelliere comporterebbe la soppressione dell’ultimo ufficio giudiziario del territorio, che già negli ultimi anni ha visto negarsi la sezione distaccata del Tribunale di Lecce.
In merito anche l’intervento del sindaco di Tricase, avv. Carlo Chiuri, che invita i collegi sindaci e avvocati ad una maggiore sinergia, ponendo l’accento sul fatto che la Città Tricase, oltre a fornire la sede logistica ( per altro già destinata a futura sede della Compagnia dei Carabinieri), mette già a disposizione due impiegati comunali dei tre funzionari di cui si avvale l’ufficio.
Il primo cittadino, inoltre, auspica un maggiore impegno delle istituzioni forensi anche a livello Ministeriale affinchè si realizzi un possibile allargamento territoriale della giurisdizione dell’ufficio del Giudice di Pace di Tricase anche a quei Comuni del Basso Salento, che, con la soppressione dell’Ufficio del Giudice di Pace di Alessano, fanno riferimento a Lecce.
di Nunzio Dell'Abate
A marzo scorso è stato istituito e disciplinato il servizio di volontariato denominato “Nonno Vigile”.
Il regolamento istitutivo della nuova figura di volontariato veniva licenziato all’unanimità dalla Commissione Regolamenti, di cui ero Presidente, dopo una lunga istruttoria e di concerto con l’allora Responsabile del Settore.
Lo strumento normativo ha dovuto fare i conti con l’art.11 del Codice della Strada che inibisce a soggetti estranei alla Polizia la tutela ed il controllo sull’uso della strada. Giocoforza ha privilegiato l’aspetto sociale di inclusione delle persone di una certa età, piuttosto che quello di regolamentazione del traffico veicolare negli orari di ingresso e di uscita degli alunni dai plessi scolastici. Esigenza questa, invece, sempre più avvertita da genitori e personale scolastico.
“Deve stazionare sul marciapiede presente dinanzi alla scuola assegnata invitando i minori ad utilizzare l’attraversamento pedonale ed, eventualmente e solo ove occorra, accompagnando gli stessi dopo essersi accertato che i veicoli si siano arrestati, senza procedere ad alcuna intimazione nei confronti dei conducenti dei veicoli” (vedi art.6 del Regolamento). Pertanto, il Nonno Vigile non può interferire o sostituirsi all’Agente di Polizia, ma può essere utile a “segnalare eventuali anomalie e necessità di intervento alla Polizia Locale”, se pur “senza procedere a contatti verbali con eventuali trasgressori”.
La precedente amministrazione non diede avvio al servizio e nel corso dell’ultima seduta consiliare si è deciso di farlo partire.
Ora ben venga la nuova figura di volontariato ed anzi auspichiamo una massiccia adesione da parte dei nostri anziani concittadini, ma essa non sarà sufficiente ad ovviare alle quotidiane criticità di circolazione, viabilità, sosta e parcheggio all’esterno degli istituti scolastici negli orari di punta. Si pensi solo a quanto accade ogni giorno in via Umberto I°. Necessitano indubbiamente altri interventi, sia di mezzi che di personale dedicato.
Ecco la ragione della nostra proposta, formulata in Consiglio sotto forma di emendamento: “impegnare la Giunta Comunale affinchè ponga in essere, di concerto con gli uffici preposti, tutte le azioni e gli accorgimenti finalizzati ad assicurare la piena incolumità e sicurezza degli alunni negli orari di entrata e di uscita dai plessi scolastici”.
Inspiegabile il rigetto dell’istanza da parte della maggioranza e della restante minoranza. Vorrà dire che i Nonni Vigili si vedranno costretti a fare i supplementari.
di Pino Greco Per il potenziamento del “ Porto Ecomuseo ” di Tricase
Tricase avrà a disposizione 631mila euro da spendere nei prossimi mesi per riqualificare tutto il proprio patrimonio portuale. Dall’Europa arriva un finanziamento per il potenziamento del “Porto Ecomuseo” di Tricase, riconosciuto dalla Regione nella scorsa estate. Attraverso il progetto Muse, finanziato nel suo complesso con 2 milioni e 800mila euro nell’ambito del programma di cooperazione transfrontaliera Grecia-Italia 2014-2020, Tricase come comune capofila avrà a disposizione 631mila euro da spendere nei prossimi mesi per riqualificare tutto il proprio patrimonio portuale.
La somma andrà a valorizzare i siti di pregio ad alto valore artistico, culturale e naturale dell’area di Tricase, ma anche delle città greche di Corfù e Messolonghi favorendo lo sviluppo di «attività turistiche sostenibili ed esperienziali in grado di migliorare la competitività dei territori all’interno del mercato turistico internazionale, con l’obiettivo di creare un network di Porti Museo per la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell’area transfrontaliera Grecia-Italia», si legge nel progetto.
I Porti museo, previsti dal progetto, saranno realizzati attraverso il recupero infrastrutturale e funzionale di alcuni manufatti presenti nelle tre aree, oltre che tramite alcune azioni di recupero e sistematizzazione del patrimonio immateriale (tradizioni, racconti, testimonianze, ricette, antichi mestieri e altro) legato al mare e alla costa. E in tutto questo, si aggiunge anche la diffusione e fruibilità dello stesso patrimonio immateriale garantita attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali come app e realtà aumentata.
A Tricase, spiega il sindaco Carlo Chiuri, si prevedono azioni di ammodernamento infrastrutturale della “Scuola borgo pescatori” al cui interno daranno ospitati laboratori di antichi mestieri del mare, di “Avamposto Mare” struttura destinata alla ricerca innovativa in questo settore e poi saranno potenziate le attrezzature e gli arredi. Al progetto partecipano anche l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari, il comune di Messolonghi, l’autorità portuale di Corfù e l’Erfc europeo.
«Mi sento orgoglioso e soddisfatto per la città per questo importantissimo progetto - dice il sindaco Chiuri. Sarà una soddisfazione per le professionalità del territorio e una occasione di sviluppo sotto il profilo turistico e di tutto ciò che è legato al mare. Questo progetto rientra all’interno di un percorso finalizzato alla destagionalizzazione e alla fruibilità di Tricase e Tricase porto tutto l’anno».
di Giuseppe R.Panico Sono passati 100 anni dal disastro politico-militare di Caporetto; il tristissimo evento di una guerra mondiale con già immani perdite e disumani comportamenti;come le decimazioni dei fanti o sparare contro chi arretrava di fronte al nemico. Con Caporetto, si accusò anche di viltà i nostri soldati, colpevolizzando i circa trecentomila prigionieri fatti dagli austriaci ed osteggiando loro (per non invogliare altri ad arrendersi) ogni forma di aiuto.
Quasi una “Vendetta di Stato” che portò tanti a morire; non più rapidamente, dilaniati da cannoni e mitraglie, ma lentamente, di fame e di stenti nei campi di prigionia. La vita valeva ben poco , come anche per quei ragazzi “del 99” (appena diciottenni), schierati sulla Linea del Piave a fermare e poi vincere un nemico che, da aggredito, si era fatto aggressore ed invasore. Passarono pochi lustri e altre decine e decine di migliaia di giovani e meno giovani tornarono a morire.
Non per difesa dell'Italia, ma per un'altra aggressiva guerra, che poi divenne di nuovo mondiale. E dopo l'armistizio (8 sett, 1943), abbandonati a sé stessi , nel peggiore ripetersi della irresponsabilità politico-militare. A Caporetto andò perso, quasi metà del nostro esercito; con l'armistizio, una nuova e ben più disastrosa “Caporetto”portò, a quella che fu chiamata “La morte della Patria”. Una nazione allo sbando con Forze Armate senza ordini e direttive, senza valori e motivazioni, senza una nuova “Linea del Piave” per far fronte alla mutata realtà. Prevalse la irresponsabilità, se non la “Viltà di Stato”, dei grandi capi in fuga da Roma, il caos nazionale, il fango e la vergogna sulle pagine della nostra storia.
Gli ex alleati (Germania) si ritennero traditi, invasero l’Italia, la solcarono con le proprie linee di resistenza contro i nuovi occupanti che avanzavano da Sud: gli Anglo-Americani che, dopo aver bombardato le nostre città, avevano imposto all'Italia un'altra disfatta politica, militare e morale: la “resa senza condizioni”, così inusuale e infamante nella diplomazia di guerra. Circa 40.000 militari vennero uccisi dai tedeschi, altri seicentomila deportati (quanto le intere perdite della prima G.M.) e tanti “inceneriti” .
Se “la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi” , come diceva Clausewitz, nel suo (un tempo) celeberrimo libro “Della Guerra”, forse non basta solo ripudiarla, come fa la nostra Costituzione, se poi i cittadini non sanno prima ripudiare la cattiva politica che la può causare, o che non la sa gestire o decentemente uscirne o che, in tempo di pace, pur senza cannoni e mitraglie, causa “Caporetti” sociali ed economici.
Come la fuga dei nostri giovani all'estero, spesso i migliori, lasciati senza lavoro e futuro, o in casa dei genitori come “anziani” e assistiti “bambocci”; come la crescente povertà o come l'afflusso continuo di centinaia di migliaia di stranieri che poi assistiamo e supportiamo, o ancora quell'altissimo livello di corruzione, inefficienza ed evasione tollerato o favorito da una politica sempre più debole e “mafiocratica”. Sono oltre settanta anni che l’Italia, pur presente per missioni di pace in altri paesi in guerra, è lontana dalla “Morte della Patria”.
L'Unione Europea, la NATO, l'ONU etc hanno contribuito, attraverso una nuova cultura e diplomazia internazionale, a farci vivere in pace. La guerra poi non fa più parte di quel travaso di memorie, dai padri ai figli o dai nonni ai nipoti, di privazioni e sofferenze, viltà ed eroismi. La leva sospesa, le Forze Armate ridotte al lumicino e spesso osteggiate, da idealisti e sognatori di un mondo, purtroppo irreale. Non di rado anche nei meri compiti di difesa nazionale e dell'ordine civile, senza il quale non vi può mai essere civiltà.
“Si vis pacem para bellum” , se vuoi la pace preparati alla guerra (almeno contro le aggressioni o per accordi fra nazioni) dicevano i Latini e lo dice ancora chi, da statista, ha un senso dello Stato e della storia. Un senso non da politici trasformisti che hanno reso l'Italia, più che una penisola geografica, una inaffidabile isola politica, di bassa levatura ed esposta ad ogni mareggiata.
Anche ad una immigrazione non limitata all'asilo politico, e dunque da integrare, ma di migranti economici o “di convenienza” lasciati poi all'altrui sfruttamento ed alla continuità delle loro sofferenze. Un “esercito” di stranieri che manteniamo ed assistiamo, affiancato poi da un' altra “armata” di mezzo milione di stranieri “invisibili” e che, come tali, possono permettersi , quasi indisturbati, illegalità e criminalità.
Facile ambiente per i reduci ( o criminali di guerra) dell' ISIS, ormai sconfitto e che ricorda il Sud America per i criminali nazisti, dopo la 2° G.M. Altro che impegnarsi a rispettare le nostre regole e la nostra civile convivenza, come dice anche il Papa.“Aiutiamoli in casa loro” si dice spesso, quando “casa loro” è ormai quella che era prima casa nostra (nella sola Roma sono ormai un centinaio gli edifici pubblici e privati occupati da “invisibili” o poco visibili).
Sembra vivere una nuova, pur lenta, incruenta e celata “Caporetto” con l'urgenza per una “linea del Piave” per nulla sentita. Contro l'Italia per la sua facile e discussa accoglienza, la “linea del Piave”, la fanno ormai gli altri paesi vicini. Muri e filo spinato, militari alle frontiere, controlli su treni e automezzi, successo di partiti anti-immigrati etc.
Dalla “Morte della patria” eravamo risorti; da quella che sembra l'isolata agonia di una nazione, pare oggi difficile riprendersi. Forse perché le vere “caporetto” sono quelle formative dell'insieme scuola - famiglia e dunque dei cittadini e dei loro politici. Incapaci questi di approvare, se non in questi giorni e dopo 71 anni di provvisorietà, anche il simbolo (insieme alla bandiera) della nostra identità: l'inno nazionale (di Mameli). “Fatta l'Italia , facciamo gli Italiani”, diceva Massimo d'Azeglio un secolo e mezzo fa. Chissà cosa direbbe oggi con immigrati etc.
Dalla “Morte della patria” eravamo risorti; da quella che sembra l'isolata agonia di una nazione, pare oggi difficile riprendersi. Forse perché le vere “caporetto” sono quelle formative dell'insieme scuola - famiglia e dunque dei cittadini e dei loro politici. Incapaci questi di approvare, se non in questi giorni e dopo 71 anni di provvisorietà, anche il simbolo (insieme alla bandiera) della nostra identità: l'inno nazionale (di Mameli). “Fatta l'Italia , facciamo gli Italiani”, diceva Massimo d'Azeglio un secolo e mezzo fa. Chissà cosa direbbe oggi con la parola patria ormai ovunque scomparsa.