di Alessandro DISTANTE

Il restauro della Chiesa dei Domenicani in Piazza Pisanelli ha suscitato reazioni diverse; da chi –come chi scrive- è rimasto positivamente colpito a chi, invece, pur apprezzando la qualità del lavoro fatto, nutre dubbi sulla colorazione della facciata.

Il nuovismo è certo una deviazione dai corretti canoni di giudizio, ma talvolta sembra emergere una difficoltà a valutare ed apprezzare tutto ciò che innova, anche quando, come nel caso in questione, non si tratta neppure di una innovazione quanto invece di un ritorno alle origini.

Si è in errore se in queste reazioni si intravvede un approccio culturale restìo ai cambiamenti, incline troppe volte alla conservazione più che al recupero? Eppure talvolta emerge nei troppo spesso invocati tempi che furono, nel ricordo nostalgico di una mitica età dell’oro fatta di personaggi di alto spessore, di una politica di grandi passioni o, ancora, in una stampa locale che nulla ha a che spartire con quella dei nostri giorni o, infine, in quei dibattiti in biblioteca o al cineforum pieni di gente e di scontri ideologici e via discorrendo.

In quei ricordi si scorge non un’operazione –come quella sulla facciata di San Domenico- di recupero, di rivitalizzazione o riattualizzazione di vecchi primati, quanto invece un approccio solo nostalgico che finisce per scolorire il passato e per non offrire nulla al presente e figuriamoci al futuro.

Ecco perché è interessante leggere le reazioni al restauro della facciata di San Domenico, al di là della questione puramente artistica; quasi un’esercitazione: leggere, attraverso quella esperienza, la cultura tricasina per scoprirne pregi ma anche difetti in uno sforzo di recupero e soprattutto di riattualizzazione dei suoi valori.

 

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