(dedicato a chi non vuole esporsi)
di Alfredo SANAPO
Per quanto sembri un assurdo storico, il dissenso, l’esprimersi liberamente, affrontare le opinioni a viso aperto, è diventato da qualche anno ancora più complicato. Sarà l’avvento violento dei social, sarà una forma di omologazione di fondo: certo è che in alcuni ambienti politici, intellettuali e, perché no, ecclesiastici è diventato più difficile trovare voci dissenzienti rispetto alle scelte imposte dall’alto.
Per esempio, Tricase fu teatro di una vicenda che coinvolse molti strati sociali e penso vada raccontata. La città del Sud Salento "contava" perché aveva un Collegio Senatoriale che portava il suo nome: a maggior ragione quando vigeva un sistema elettorale pressoché uninominale. Un tempo Tricase "valeva" per via del lavoro sul campo del sen. Ferrari che rese la circoscrizione una roccaforte DC. Un tempo Tricase era importante perché in questo "collegio di ferro" venivano catapultati personaggi di rilevanza nazionale sia come contendenti che come sponsor politici. Un tempo Tricase era più considerata perché aveva il coraggio di gridare la consapevolezza della sua storia e la rivendicazione delle proprie scelte: questo raggiunse la sua acme in occasione del "caso Vitalone".
Nelle politiche del 1976 a Tricase la DC riservò lo scranno di Palazzo Madama al sen. Carboni, sindacalista e presidente nazionale delle ACLI. Dopo la sua prematura dipartita, alle elezioni del 1979, la DC offri la candidatura "sicura" al magistrato Claudio Vitalone: ancora una volta, quindi, viene presentato uno "straniero". Alle politiche del 1983, la DC locale, quasi certa di poter proporre un candidato zonale (primi indiziati: il presidente della Regione Quarta, il vicepresidente della Provincia De Benedetto, il sindaco di Casarano Memmi e il sen. Urso), fu costretta a fare dietrofront su indicazione della corrente andreottiana della DC romana: ciò non senza mal di pancia, anche all’interno dello stesso partito di maggioranza. Le immediate conseguenze furono le dimissioni del segretario provinciale De Filippi. Alcuni iscritti della DC di Tricase, tra cui Ecclesia, inoltre, si limitarono ad un comunicato stampa, definendo la decisione del partito di rifilare un candidato estraneo come "atto di sciacallaggio politico".
La querelle non si fermò al fatto politico ma ebbe toni più risoluti nel mondo ecclesiale con l’emergere di profonde divergenze. Veniva ad incrinarsi quella posizione di "collateralismo" della Chiesa la quale, fino ad allora, aveva avallato, senza se e senza ma, le scelte del partito cattolico, ritagliando per sé il ruolo di guida morale e di indirizzo valoriale. Il muro delle sfere d'influenza venne rotto dall'arcivescovo di Lecce mons. Mincuzzi il quale, con una lettera su La Gazzetta del Mezzogiorno, contestò le candidature "straniere" della DC di Pagani (sindacalista CISL) e Vitalone ritenendole "ingiuste, impopolari e contro il buon senso e l'interesse politico " e, con una lettera ai fedeli, denunciò quelle persone sedicenti cristiane di "operare sconsideratamente tenendo sotto tutela una popolazione che sta liberandosi da antiche soggezioni per godere a parità di diritti i frutti della libertà".
Sulla scia di queste tesi, 14 parroci della Diocesi di Ugento - tra i nostri, don Donato Bleve, don Ugo Schimera e don Rocco D'Amico - sottoscrissero nella Chiesa di Alessano un manifesto intitolato "Quale Democrazia?... Quale partecipazione?" in cui si contestava l'imposizione di candidature dall'alto a favore del diritto alla rappresentatività locale, stigmatizzava chi valorizza il Salento solo come "sacca e deposito di consensi elettorali" e, infine, incitava ad avere "il coraggio di rifiutare sistemi di autentica dittatura che distruggono la nostra libertà di cittadini e di cristiani". Le relative parrocchie, non potendo affiggere manifesti politici al di fuori degli spazi assegnati, sfruttarono la disponibilità offerta dagli altri partiti e divulgarono il contenuto del manifesto anche attraverso un'efficiente opera di volantinaggio.
Si espose alla contesa anche il sacerdote di Copertino, don Pinuccio Sacino, il quale in una domanda retorica chiese "di quale organizzazione sociale collegata con l'esperienza politica cattolica facesse parte" Vitalone visto che "è stato sempre coinvolto in situazioni poco chiare" (denuncia per diffamazione) e, "se bisogna salvaguardare gli interessi generali del partito ed esistono collegi sicuri anche a Roma", perché non candidarlo lì? Un dibattito, insomma, che portò alla luce, anche nel corpo ecclesiale, una spinta che, andando oltre la posizione conservatrice dello status quo, si faceva interprete di istanze sociali che avrebbero portato, tra l’altro, anche alla fondazione di esperienza diverse ed alternative alla DC, come furono, ad esempio, i "Cristiano-Sociali" alla vigilia della Seconda Repubblica.
Al dibattito parteciparono le voci di testate locali e nazionali. L'allora direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Domenico Faivre definì Claudio Vitalone uno dei "nuovi Turchi", ossia un corsaro inviato da Roma per essere eletto dal serbatoio sicuro di voti di Tricase. La giovane corrispondente de l'Unità, Giusi Del Mugnaio (fidanzata di D'Alema), tragicamente deceduta un anno dopo i fatti, diede rilevanza nazionale alla vicenda aggiornandola di volta in volta. Proprio lei riferì della lettera aperta di don Donato, don Eugenio e Tommaso Ventura ai segretari delle sezioni DC del collegio "d'oro" chiamandoli in causa in quanto, nonostante "il dissenso espresso in privato, continuavano a essere complici della scelta di difendere ad ogni costo le posizioni degli Zar": nella lettera si invitavano gli elettori a punire non votando chi ha "disatteso tutte le aspettative". Spazio fu dato anche dal Corriere della Sera, Repubblica e l'Espresso.
Nella mischia scese in campo pure il prof. Invitto, ordinario di filosofia teoretica dell'Università di Lecce, il quale suggeriva di uscire "dall'intransigenza dogmatica clericale e comunista" cercando una terza via tra la scheda bianca e il cambio di partito sulla scorta dell'esempio dei cattolici brindisini che, prendendo le distanze dalla DC, hanno creato "uno spazio libero di ripensamento".
Scarciglia, capo di Gabinetto del Presidente Fitto padre, imputò la sgradita scelta alla necessità di rinnovamento del partito in risposta "all'onda lunga socialista", la reputò troppo simile "al centralismo democratico del PCI che invia i proconsoli delle segreterie e li fa votare dalle periferie secondo logiche verticistiche" e critica la nuova tendenza a "privilegiare esageratamente gli esterni che stanno diventando democristiani di lusso rispetto a coloro che hanno fatto la gavetta" o "i pupilli dei pezzi da novanta dello scudo crociato".
La stessa difesa mediatica di Vitalone per spiegare di non essere un corpo estraneo, sebbene in alcuni tratti apparisse fragile, non fu mai banale. Oltre all'ovvia apertura di un ufficio politico in via S. Angelo e all'allestimento di una propria abitazione in Tricase, egli dichiarò che da parte di un partito di governo è legittimo riservarsi una quota di candidati al servizio dello Stato in virtù delle sue esperienze e competenze, ritenendo che "nello spirito della Costituzione, il parlamentare, una volta eletto, rappresenta tutta la Nazione e non solo il suo collegio". Inoltre, legittimò la sua candidatura asserendo che le critiche della Chiesa non erano dirette alla sua persona e le bollò come un tentativo malriuscito di strumentalizzazione da parte del PCI.
Senza entrare nel merito delle discussioni interne delle singole organizzazioni sociali e politiche e sui successivi commenti alla forte flessione della DC nel collegio, risulta chiara a quei tempi la presenza di un'opinione pubblica variegata e mai schematica che, a sua volta, è specchio di una comunità più analitica e riflessiva e, quindi, con un approccio più completo alla risoluzione dei problemi. A differenza delle contese attuali che sminuiscono la discussione ad un "like" o ad una lavagnetta nella quale dividere semplicisticamente i buoni dai cattivi e i pro dai contro: specchio di una comunità indifferente a sé stessa e agli altri.
Con questa ricostruzione storica vorremmo sottolineare che in futuro Tricase tornerà a contare di più quando ogni cittadino osserverà i problemi della città in maniera più critica, divenendo portavoce della sua soluzione e si impegni a realizzarla presentando la sua proposta politica in prima persona o con persone con le quali la condivide. Come scrive il sociologo Franco Cassano in Pensiero meridiano, "occorre che il Sud riacquisti l'antica dignità di soggetto del pensiero e interrompa una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri". Ciò sarà possibile anche per Tricase il giorno in cui la politica, attraverso la capacità critica dei singoli, riprenderà la sua multiforme dialettica, avrà una visione autonoma dello sviluppo e non sarà soltanto la scelta di decidere di sottostare o meno ai capricci del potere del Ras di turno.