La mia colonna di Alfredo De Giuseppe

Si dice (mi dicevano) che superati i sessanta la prospettiva cambia.

Hai superato la linea di demarcazione fra gioventù e vecchiaia, puoi pensare alla pensione, al meritato riposo e vedere il tutto con maggiore distacco.

Io che sono un sessantenne inconsapevole, che ci sono arrivato senza accorgermene e senza volerlo, riesco a vedere da quest’altezza le sedimentazioni degli anni, dei rimpianti, delle vittorie e delle sconfitte.

Riesco a vedere il film di una vita, ma non riesco a smettere di pensare al futuro, a ciò che sarà, a ciò che può venire in funzione dei nostri comportamenti.

È vero che una certa età può avere delle stanchezze incorporate: non vuoi più vedere le stesse facce ogni mattina, non vuoi più vedere spettacoli karaoke, sempre uguali a loro stessi, la commedia all’italiana con i suoi stereotipi, la politica televisiva con i giornalisti star e neanche lo stesso tramonto.

La stratificazione di eventi, ormai sempre più accelerata,
può generare confusione e sconforto, voglia di mollare e di uscire dal contesto.

Ma succede anche che puoi avere curiosità di incontrare persone nuove, di fare altri percorsi con loro, che vai a cercarti gli spettacoli innovativi che abbiano in sé i germi dell’universalità, puoi vedere dei film bellissimi anche se girati con un cellulare, puoi parlare di politica senza inebriarsi dentro.
Così pensavo mentre, qualche giorno fa, leggevo dell’ennesima ricerca che fissa a 64 anni l’età in cui si diventa realmente adulti, dopo la quale smette di esistere definitivamente il bambino che eri stato.

Nel dubbio mi tengo buona la norma che una ricerca statistica vale nel suo assunto generale ma non per i singoli. Però ora mi sovvengono i sessantenni della mia infanzia, che sembravano vent’anni più vecchi e da un millennio fermi nel loro status.

Tra i miei vicini di casa c’era chi era curvo dalla fatica e dall’assenza di anti-infiammatori, chi non vedeva bene e guidava un’Ape Piaggio, chi aveva la gotta e chi camminava con il bastone.

Molti di loro avevano come unico sfogo l’osteria con annesso vino annacquato.

C’era una miriade di stranezze (perché l’umanità di per sé è strana, essendo unica nella sua composizione genetica): chi non dormiva la notte ma solo di giorno, chi aveva l’amante sotto casa, chi faceva il sacrestano e chi aveva le galline sotto il letto.

C’era poi una minoranza di signorotti che aveva il bagno in casa, vestiva bene, aveva studiato e di solito era un insegnante, un medico o un discendente di famiglia nobile. Erano pochi, molto pochi.
I sessantenni di oggi corrono per mantenere integra la massa muscolare, vanno in bicicletta vestiti come Nibali, frequentano palestre roboanti e fanno diete personalizzate con i cibi più esotici, cucinano come chef stellati, si curano e si amano, con tatuaggi e massaggi.

Tentano di rimanere giovani, per sempre giovani, non tanto nella testa quanto nel fisico.

Non frequentano le umide osterie, ma i pub alla moda con il miglior vino del mercato, parcheggiano auto costose nello stesso spazio dove i loro padri avevano un carretto col cavallo, usano i social compulsivamente e spesso sperano di essere affascinanti.

Ai figli insegnano qualcosa di vecchio, mentre loro si rifanno le rughe, abusano di medicine e viaggiano senza nesso: e infatti i figli non ci capiscono più niente.

Straparlano spesso di politica, sparando decine di luoghi comuni sul passato e sulla nostalgia del bel tempo che fu (che forse non c’è mai stato), mentre qualcuno li ascolta, pensando davvero che abbiano avuto delle esperienze importanti.

I sessantenni, e parlo al maschile perché son gli unici che penso di conoscere un po’, sono figli di famiglie patriarcali nella loro impostazione medievale, hanno vissuto il boom economico, le trasformazioni della donna, la tranquillità impiegatizia e pensionistica, hanno visto l’uomo sulla Luna con le tv bianco/nero e la fine del socialismo reale, hanno lottato per ideali di libertà, diventati post-ideologici, hanno finito per votare i loro nemici di gioventù.

Sono tanti,statisticamente tanti.

C’è uno spazio vitale oltre i sessanta? Rassicuro me stesso e gli altri vecchietti.

C’è uno spazio di vita a due uniche condizioni: che si continui a studiare e lavorare e che si coltivi la pratica di guardare avanti, anche oltre la propria morte.

Perché quella verrà, ne sono convinto, ma il mondo continuerà, almeno per un po’.

Sono consapevole che, come capita a tutti, fra qualche decina d’anni non lascerò nessun vuoto incolmabile: il mio posto sarà preso da un essere più evoluto di me.

Tricase, 6 ottobre 2019

E’ giunta nel primo pomeriggio di oggi la comunicazione

del consigliere comunale Giuseppe Peluso :

Ritengo che ad oggi non ci siano i presupposti per continuare un rapporto collaborativo e di fiducia con l’attuale maggioranza”

Il consigliere Peluso: “Dopo mesi di attesa alla finestra, mi trovo costretto, con grande rammarico, a dichiarare in questo momento così delicato le mie decisioni per rispondere alle continue perplessità dei miei concittadini.

Come dichiarato dal sindaco nel mese di giugno, con l’appoggio di tutta la maggioranza, entro fine settembre si sarebbe dovuti arrivare ad una completa rimodulazione della giunta; ed io pur di mantenere un equilibrio in consiglio, ho accettato di sacrificare il mio assessore mettendo, come sempre, al primo posto gli interessi della collettività e non del singolo.

Tuttavia, dopo vari rinvii e promesse non mantenute, siamo arrivati ad ottobre dove la situazione è rimasta invariata.

Mi piace essere una persona coerente e corretta con me stesso e con gli altri, atteggiamento questo che non è stato ricambiato nei miei confronti.

Per i motivi sopra esposti, ritengo che ad oggi non ci siano i presupposti per continuare un rapporto collaborativo e di fiducia con l’attuale maggioranza"

 

POLITRIC

Il Sindaco Chiuri ha presentato le dimissioni ed ora vi sono 20 giorni per ritirarle; è questa l’ipotesi che traspare, avendo il Sindaco dichiarato di voler continuare a governare con persone disponibili afare il bene di Tricase.

La chiamata è alla difesa di Tricase, minacciata da nemici interni ed esterni, assetati di potere e di ambizioni elettorali. Il gridare al nemico è un’antica tecnica difensiva.

Ma è vera? Chiuri parla di una comunità che sta camminando con impegno e sacrificio.

Ed è proprio questo il punto debole dell’analisi: quello che è maturato negli ultimi tempi è l’arretramento di un progetto di Città.

E’ quanto denunciato dal Presidente Martina e, prima di lui, dagli ex Assessori Turco e Piccinni.

Il nemico, tanto evocato dal Sindaco, rischia di trovare spazio perché trova il vuoto della politica e l’assenza di un progetto leggibile di Città: ad esempio, si chiude il centro storico e si occupa di auto via Roma; si chiede al Consiglio comunale il percorso della 275 e poi si condivide un altro progetto; si esprime pubblico apprezzamento per iniziative culturali ma poi dopo il saluto sopraggiungono sempre impegni istituzionali; si loda la comunicazione ma si sbeffeggia la stampa locale.

 

Quello che è venuto meno è proprio quello spirito di comunità in cammino, sol che si consideri che il clima di fiducia –al di là di quanto dichiarato dal Sindaco- è venuto meno addirittura all’interno della maggioranza.

A questo punto non basterebbe neppure un chiarimento interno se non vi è una svolta nello stile di fondo, altrimenti non resterebbe che rimettersi agli elettori.

Il rischio è che una conflittualità interna costringa ad andare avanti con diminuita forza ed allontani da quella pacificazione voluta da Chiuri, una pacificazione difficile ma che va perseguita nell’interesse di Tricase.

Solo così si sconfiggono i nemici veri o presunti, interni o esterni; ma per questo occorre la politica, quella vera che da qualche tempo non è dato scorgere.

A.D.

Tricase, 3 ottobre 2019.

Carlo Chiuri: “Non svendo assolutamente Tricase ed assecondare bramosie e ambizioni interne ed esterne: sarebbe la paralisi! In assenza di un rapido e sereno confronto, sarebbe oltremodo dannoso continuare”.

 

A causa delle continue fibrillazione interne alle liste collegate alla mia candidatura e con le quali, nonostante tutto, si è riusciti a creare nella città un nuovo clima di fiducia e l’attivismo“, scrive il dimissionario primo cittadino, “ritengo attualmente è necessaria una pausa di riflessione.

È mia intenzione continuare solo con persone quei sei disponibile a fare il bene di Tricase non suddivide le poltrone a destra e a manca (anche ipotetiche futuribili).

Non posso accettare che interferenze esterne, le quali il supremo interessa della città è assolutamente indifferente, blocchino l’attività operativa intrapresa e a fatica portare avanti in questo ultimo periodo.

Queste persone“, attacca Chiuri, “non vogliono sviluppo di Tricase! Non è mia intenzione lasciare la città ostaggio di interessi elettoralistici che certamente minerebbero, anzi paralizzerebbero l’attività amministrativa. Di fronte ad un disfattismo di tal fatta”, accusa, “non è assolutamente tollerabile il silenzio e l’inerzia, pertanto sono costretto contrariamente ai miei intendimenti e per l’estremo amore che nutro verso la città i miei concittadini, a rassegnare le dimissioni“.


Secondo Carlo Chiuri, questo “è un atto di responsabilità per non far prevalere ambizioni che nulla hanno a che vedere con l’interesse della città e per non danneggiare una comunità che sta camminando con impegno e sacrificio.

Non svendo assolutamente Tricase“, conclude, “per assecondare bramosie e ambizioni interne ed esterne che non hanno minimamente amore verso la nostra comunità: sarebbe la paralisi! In assenza di un rapido e sereno confronto, basato sulla chiarezza e la condivisione, sarebbe oltremodo dannoso continuare“.

 

Adesso come avviene in questi casi la legge consente un lasso di tempo di 20 giorni per eventuali considerazioni.

Il sindaco e i suoi avranno il tempo e la possibilità di guardarsi in faccia e capire se sarà il caso di fare un passo indietro o confermare le dimissioni che porterebbero prima ad un Commissario prefettizio e poi alle elezioni anticipate.

 

di Giuseppe R. Panico

Il nostro piano regolatore (PUG), dovrebbe veder la luce entro la fine di quest’anno.

Lo avremo per davvero dopo aver riposto molti quattrini, decenni di attesa e incerta fiducia nei nostri eletti?
Saremo cancellati dal lungo elenco dei comuni inadempienti?

Contribuirà a quello sviluppo sostenibile spesso richiamato ma mai pianificato e ben avviato se non con un triste elenco di occasioni mancate?

Ad oggi si può dire che il PUG dovrebbe tener conto di una urbanistica, disordinata e ben lontana da quei criteri ambientalistici ed ecologici così diffusi altrove; di un calo/ invecchiamento della popolazione sempre più accentuato e di un eccesso di capitale edilizio abitativo.

Si aggiunge una economia basata essenzialmente su commercio e servizi, alimentata da attività prevalentemente impiegatizie di Stato e Parastato (Polo Sanitario e Scolastico), di servizi e redditi da pensioni.

Il tutto destinato a ridimensionarsi proprio per il calo della popolazione (chiusura di scuole, meno clienti o solo anziani per sanità pubblica e privata e meno consumi).

La libera imprenditoria è inoltre poco favorita, e, nella zona industriale, la recente vendita, dopo anni all’asta, dell’ex grande stabilimento Adelchi a meno del costo di un modesto appartamento per i nostri ragazzi emigrati a Milano o al Nord, indica come nuove attività industriali/manufatturiere di rilievo siano una mera utopia.

La stessa edilizia è ormai limitata a manutenzione o ammodernamento di vecchie case e tante altre sono abbandonate o lasciate incomplete. Sarà il PUG a darci speranza di resurrezione e rinnovamento, o seguirà l’esempio del Piano Coste, ove la prevalenza di criteri (o scusanti) conservativi/ambientali, hanno reso ancor più lontana ogni idea di sviluppo?.

Sul PUG sembra calato un soffocante silenzio; della attuale amministrazione non se ne conosce orientamenti e pensiero; dal residuo dei partiti non si odono echi e pareri, e le tante liste, da periodo elettorale e senza solide strutture organizzative, sono svanite come neve al sole d’agosto.

I relativi eletti rimasti “solitari”, senza supporto o pungoli alle spalle, non possono che operare

(o vegetare) in base alla loro motivazione politica o personale tornaconto.

L’opposizione sembra in gran parte ridotta ad una poco attiva minoranza e il Capitale Sociale (cittadinanza attiva) stenta a crescere e ad esprimersi anche nelle fasce più preparate/acculturate. Che PUG avremo?

Sperabilmente concreto e motivato, di vero interesse per pochi ma utile per noi tutti pur privo di fondi o risorse per una sua rapida attuazione.

Ai quaranta anni persi (come da” politric” sul Volantino) dovremo così aggiungere altri decenni.

E’ come se la cura per il malato arrivasse con un incerto medico, senza idonei medicinali e quando il prete è già passato. Ne beneficeranno gli eredi.

Si è aperto in questi giorni il 59°salone nautico di Genova, il più importante del Mediterraneo con una crescita economica annuale di oltre il 10% e una quota di mercato mondiale (per i mega yacht) del 45%.

Di barche nella zona industriale ne costruivamo pure noi. Ora non più. E’ ben risaputo come la disponibilità di porticcioli e posti barca, oltre che creare benessere e diversivi per la popolazione locale è anche una potente attrattiva turistica

E’ inoltre un valore aggiunto decisamente rilevante per gli insediamenti locali (seconde case, villaggi turistici) e crea qualificato lavoro e avanzamento sociale.

E’ inoltre ben noto come la nostra costa, sia stata prima svilita con il depuratore e sversamenti nel Rio, poi mummificata frenando ogni nuova iniziativa edilizia, poi resa poco attrattiva per carenza di più idonei servizi e poi infine resa ostile alla nautica con la recente diminuzione di posti barca o nessun loro incremento, sia pure con “porti a secco”.


Ma con il paese che invecchia, deperisce e non si industria, non ci rimane che la valorizzazione
costiera. Lo “Scenario di Sintesi” del PUG, sul sito del Comune, già prevede per Marina Serra e
Tricase Porto “Aree di Rafforzamento della Polarità Portuale” e “Aree Urbanizzate”.

Facili parole ma dagli incerti significati se non accompagnate da più permissivi criteri e i vicoli che per tali aree si intende attuare e rilanciare una economia che faccia da motore anche per lo stagnante retroterra cittadino.

Ma forse ci vuole una “politric”che, per risollevarci, sappia farsi “poli-crik”.
Come per un’auto da lungo tempo in panne sul lungomare e che, ben rifornita di carburante e
doni, corra verso il paese e non più viceversa”.

Non avremmo nel Salento una nuova piccola Montecarlo ma forse è urgente un serio pubblico dibattito sulla rotta o ricetta da prendere, salendo a bordo del nostro PUG ancora sugli scali.

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