Francesco Rizzello: debutterà al Campionato IRC
Il forte pilota salentino, insieme a Monica Cicognini pronti per una appassionante stagione rallistica.
Sarà un 2017 fermamente laborioso per Francesco Rizzello. Il trentaseienne portacolori della scuderia Salentomotori, infatti, disputerà, per la prima volta, l’International Rally Cup (IRC) targata Pirelli, serie nazionale tra le migliori del contesto rallistico italiano.
Il pilota ruffanese, cooperato alle note dall’esperta sanremese Monica Cicognini, affronterà l’intera stagione che verrà al volante della Ford Fiesta in configurazione WRC, dopo un positivo noviziato alla guida della Ford Fiesta R5 prima, e della Skoda R5 dopo, che proprio quest’ultima gli ha regalato grandi soddisfazioni al Monza Rally Show, giungendo 5° di classe.
Dopo una attenta ponderazione, puntare sull’IRC ci è sembrata la scelta preferibile. Ottimo campionato, partecipanti di calibro importante - ha spiegato Rizzello. Inoltre, sarò anche al via del Rally del Salento, una gara primaria essendo il suo 50° . In merito alla vettura, invece - continua – la potrò conoscere meglio ai test che effettuerò giorni prima dell’inizio del Rally Lirenas, e sono certo che la PA Racing mettere a disposizione una performante vettura e la giusta professionalità che gli ha sempre contraddistinti. Infine, Rizzello rivolge un sentito ringraziamento ai suoi principali sostenitori, in particolare a Uniclub, che oramai da anni crede in questa disciplina sportiva e che si riserva di un grande sostegno.
Gli appuntamenti dell’IRC saranno quattro in calendario: l’apertura con il 7° Rally Lirenas 8-9 aprile seguito, in ordine, dal 24° Rally Internazionale del Taro 20-21 maggio e dal 37° Rally Internazionale del Casentino 7-8 luglio, per chiudere con il 61° Rally Coppa Valtellina Internazionale 22-23 settembre.
di Ercole Morciano RICORDANDO MAESTRO ROCCO LONGO
Tricase, piazza Cappuccini, 2016. Rocco Longo, 3° da sinistra, con alcuni frequentatori della sua bottega in via Roma; alla sua dx Antonio Panico e Italo Santoro; alla sua sin. Donato Valli. (Foto Rocco Sperti)
Se n’è andato serenamente il 10 marzo - avrebbe compiuto 95anni a maggio - dopo una non lunga permanenza in ospedale, amorevolmente assistito dai famigliari e da quanti gli volevano bene.
Benché non avesse letto il De Senectute, l’elegante saggio filosofico che Cicerone compose sull’arte di invecchiare bene, il maestro sarto Rocco Longo ha ugualmente vissuto bene l’età più avanzata dell’esistenza. Ha amato la vita sino all’ultimo; lo capivi da come ti stringeva la mano sul lettino dell’ospedale o da come ti guardava o ti sussurrava le parole nel breve dialogo permesso da quella situazione. E in questo forte sentimento risiedeva la sua filosofia di vita derivata dalla saggezza distillata in tanti anni vissuti nell’attaccamento ai valori ricevuti, condivisi e trasmessi.
Tanto valida la sua filosofia, da non invidiare nulla a quella del pensatore e grande avvocato romano.Il segreto per vivere bene e a lungo - secondo Cicerone - è amare la vita con gioia anche durante la vecchiaia e, quanto più diminuisce il vigore fisico, tanto più occorre aumentare le attività dello spirito, senza mai abbassare l’interesse per ciò che ci circonda, persone e cose. Se poi a questo aggiungiamo la fede, allora comprendiamo ancor più come il maestro Rocco Longo, sia riuscitoa “rientrare serenamente nel porto dopo una lunga navigazione”- tanto per adoperare la metafora ciceroniana - e a insegnarci qualcosa anche nell’estremo momento dell’esistenza terrena.
Conoscevo maestro Rocco da sempre, ma mi sono avvicinato - diventandone in un certo senso amico - in occasione della raccolta di testimonianze per il mio libro Ebrei a Tricase-Portonel 2008. Da allora ho frequentato la sua bottega, in via Roma, e man mano il nostro rapporto è aumentato d’intensità. Mi piaceva ascoltarlo perché, pur alla mia età, avevo sempre da imparare qualcosa da lui. Le vicissitudini della vita lo avevano provato, anche duramente, ma aveva saputo reagire vedendo sempre il positivo; il suo temperamento benevolo e la sobrietà che protegge dagli eccessi gli avevano giovato consentendogli di raggiungere un’età veneranda. Il suo chiamarmi fiu era un segno di affetto che veniva fuori dal suo animo delicato e sempre disposto al bene,e io gliene sono grato. Amava intensamente i nipoti Pierfrancesco, Michele, Sara e Maria Luisa, che gli davano belle soddisfazioni; eppure non chiudeva,come molti fanno, gli affetti all’interno della famiglia. Spesso mi chiedeva del mio nipotino Sebastiano e desiderava vederlo. Quando glielo portavo e cominciavano tra loro a parlare, notavo la naturale tenerezza e lo vedevo veramente felice tanto da fargli esclamare “ve ne sciatiggià!”, nel momento in cui andavamo via.
L’ultimo grazie per maestro Rocco è per questa sua disponibilità all’accoglienza. Lo faccio -ne sono certo - a nome di tutti coloro che frequentavano la sua bottega: un vero “laboratorio intergenerazionale”, dove ci si incontrava con piacere per sapere cose di ieri ma anche per commentare fatti di oggi e immaginare prospettive per il futuro. A sostegno di questo “laboratorio” spontaneo,che purtroppo si è chiuso,non c’era nessun progetto; non c’erano obiettivi da raggiungere; non c’erano bilanci da approvare; non c’erano fondi da spendere; c’era però tanta amicizia in comune perché lì,si incontravano persone di età diversa, di cultura varia, con vissuti differenti, che tuttavia riuscivano a stare bene insieme e passare piacevolmente un po’ di tempo. Maestro Rocco amava il suo paese, Tricase; voleva essere informato e tutto ciò che ne ostacolava lo sviluppo o il progresso lo rendeva triste e preoccupato, specialmente per i giovani. Accoglieva tutti: mai ho sentito un lamento o un rimprovero verso un extracomunitario venditore porta a porta, anche quando accadeva che nella stessa serata se ne avvicendassero molti a breve distanza di tempo. Per loro aveva sempre una buona parola o un piccolo aiuto,anche con l’acquisto di qualcosa di superfluo, e in ogni caso sapeva riversare la sua esemplare umanità con un franco sorriso.
Grazie Maestro Rocco !
On.le Antonio Lia
Caro Direttore, il giornale che lei dirige ha riportato più volte il mio nome come candidato a Sindaco o Consigliere Comunale di Tricase, sono molto onorato che alcuni cittadini di Tricase hanno espresso interesse per la mia persona, questo mi lusinga ma voglio precisare che la mia attenzione per il risultato delle elezioni amministrative di questo paese amico mi interessa moltissimo per le cose che ho avuto la possibilità di esprimere in alcuni articoli sul suo giornale, perché sono fortemente convinto che Tricase deve ritornare ad essere il riferimento del Capo di Leuca e poi perché Tricase deve riguadagnare la sua dignità e identità come ho più volte avuto modo di scrivere.
So che quello che sto per dire mi creerà inimicizie ma mi sembra scorretto, per la storia di questo paese, che qualcuno pensi che Tricase sia terra di nessuno e chiunque, nel nome di un Partito o Movimento politico, possa venire a Tricase a fare razzia di voti approfittando delle amministrative per crearsi una nicchia dove attingere consenso per le sue ambizioni personali o del suo Movimento/Partito.
Direttore, in questo momento Tricase ha bisogno dell’unità di tutti i tricasini e di quelle persone che professano la loro amicizia per il paese. Il nostro è un territorio che ha bisogno di un paese guida che dia forza e concorra allo sviluppo economico e sociale di tutto il capo di Leuca. Noi tutti abbiamo il dovere di contribuire a far uscire la comunità dalla situazione di stasi che sta vivendo in questo momento. Sono convinto che per Tricase ci vuole un’Amministrazione che abbia il più ampio consenso, che venga fuori un’Amministrazione autorevole perché il momento è difficile e preoccupante.
Non le nascondo che ho letto con preoccupazione il Suo articolo sull’ultimo numero de “il Volantino” i dati relativi alle imprese nel 2016 sono preoccupanti.
Quei dati riportano che “Tricase si è distinta per il saldo negativo tra apertura e chiusura delle attività economiche presenti sul territorio comunale”. Il risultato di ben 24 unità imprenditoriali in meno in un solo anno è allarmante. Tricase deve trovare la forza e il modo di reagire e di saper mettere a frutto le grandi potenzialità che ha: dalla Cultura alla Scuola, dal Turismo al Commercio, dall’Agricoltura all’Artigianato. Potrei citare altri punti di forza che sono presenti a Tricase, così come potrei e farò, se lei mi darà spazio come ha sempre gentilmente fatto, per valutare quale tipo di sviluppo potrebbe avere Tricase se i Cittadini sapranno eleggere un’Amministrazione Comunale che abbia un forte programma credibile e fattibile, non una melassa elettorale per accontentare l’orecchio degli elettori, un programma che viene dal contributo di tutti e che in questo momento sappia ridare fiducia alla gente, nell’interesse della Città, dei Tricasini e di tutto il Capo di Leuca.
di Emilia Rossi Sono una tricasina di adozione e di questa cittadina bella, sana e ridente, ne ho amato tutto: dal marito fino all’ultimo neonato, tutti gentili, intelligenti, disponibili e con l’animo sensibile.
Ma oggi che delusione! Il “Volantino” di Tricase ha riportato –dopo articoli elogiativi per quei personaggi che fuori dal paese si sono realizzati e primeggiati- uno, poco edificante, articolo su una persona come Suor Margherita Bramato (che può suscitare solo pensieri alti) chiedendole attenzione per un banale e volgare problema: non lo specifico, mi vergognerei!
Io, che dopo un non breve, ma necessario soggiorno in “Betania” (mi ero rotto il femore e le conseguenti difficoltà data la mia non tenera età) avevo sentito il bisogno, il dovere di scrivere un articolo per far conoscere a tutti quale tesoro –parlo della Reverenda Suor Margherita Bramato- possedeva questa fortunata cittadina.
L’articolo fu pubblicato –per merito di un mio affine- sull’agenzia giornalistica “Zenit” del Vaticano che è pari all’Ansa.
Il primo a leggerlo fu il nostro Santo Padre Francesco. Leggerà anche questo “Volantino”?
Penserà che io sono una fan di parte o che io non ho capito che quella rubrica è dedicata alle barzellette ed agli indovinelli?
Comunque cara S. Margherita, continui nella Sua lodevole opera, pur pensando che … nemo profeta in Patria.
Grazie per il richiamo e Le chiedo scusa se l’abbiamo delusa; ma –mi creda- sappiamo quanto vale Suor Margherita;
ne apprezziamo le doti umane e professionali e lungi da noi ogni intenzione di mancarle di rispetto.
Alessandro Distante
di Mary Cortese L’indifferenza. Questa, sì mi sembra in definitiva la cosa di cui ho più paura. L’impermeabilità agli avvenimenti del mondo. Il restare uguali a sé stessi e non chiedersi dell’Altro da sé. Il guardare con diffidenza chi invece si schiera, si impegna, scalpita. E magari deriderlo. La volontà, al limite, di proteggere i propri piccoli, miseri confini, che siano quelli della propria casa, del proprio condominio, del proprio clan. Una volontà tanto miope quanto pericolosa, incapace di cogliere il nesso della propria esistenza in una rete di relazioni col mondo, succube della paura del diverso, e complice dei più grandi crimini.“Sui vostri monumenti alla Shoah non scrivete violenza, razzismo, dittatura e altre parole ovvie, scrivete 'indifferenza': perché nei giorni in cui ci rastrellarono, più che la violenza delle SS e dei loro aguzzini fascisti, furono le finestre socchiuse del quartiere, i silenzi di chi avrebbe potuto gridare anzi che origliare dalle porte, a ucciderci prima del campo di sterminio". Così Liliana Segre, una delle poche sopravvissute italiane ai campi di concentramento nazisti.
Questa paura dell’indifferenza, ricordo, fu una delle cose che mi facevano scalpitare quando dopo il liceo, scelsi di andare via. Ne percepivo tanta intorno a me e me ne sentivo schiacciata. Da più di vent’anni vivo nella Capitale e l’indifferenza nel frattempo ho scoperto essere il male dell’intero pianeta.
Intanto nel pugno chiuso stringo come uno scrigno inviolabile l’immagine del mio paese, e amo la strada che lì mi riporta. Perché non posso fare a meno di tornare a osservare il mondo da quell’angolo prezioso.
Leggo sempre quello che Alfredo De Giuseppe scrive, perché mi riconcilia con la mia terra. Non perché debba sempre essere assolutamente d’accordo con le sue opinioni, quanto perché traspare ogni volta la sua passione, la sua ostinazione, la sua strenua volontà di non lasciarsi sopraffare da tutto quello che lo sappiamo, gli renderebbe anche la vita più facile. Ma lui resta lì caparbio a guardarsi intorno: quello che gli accade accanto, per poi sollevare lo sguardo e provare a interpretare i cambiamenti del mondo. Sono spesso parole scomode: sfido chiunque a dire sempre esattamente quello che pensa dell’autorità, dei santi più venerati, del poeta locale più osannato (e misconosciuto), a dichiararsi agnostico nel Paese in cui si professa una fede che raramente si vive, in cui la laicità è una brutta parola da sotterrare con qualsivoglia ipocrita perbenismo. Sono parole che testimoniano una militanza mai sopita nella lotta per la difesa dell’ambiente, per la tutela del bene pubblico, per il sostegno dei diritti civili. Sono parole di denuncia: contro una cultura del clientelismo, della collusione con il malaffare, del nepotismo, contro le parole d’ordine populiste e xenofobe che egemonizzano il dibattito pubblico. Contro l’asservimento del territorio agli interessi economici di minoranze e contro la disinformazione che ci conserva, soprattutto a noi gente del Sud, sudditi.
Una denuncia che, lungi da istigare all’odio, nasce dall’amore per la propria terra, da una vivacità intellettuale che non si arrende, ma sceglie ogni giorno di aderire a una visione del mondo, conservare un’etica anche nell’affrontare i problemi dell’impresa, ricordare a tutti che si può crescere senza sacrificare altri pezzi di territorio, di mare, di bellezza. Tutto questo e molto altro, ho incontrato fra le pagine di “Anni di getto”, il libro di Alfredo che presenteremo domenica 19 Marzo nella Sala del Trono di Palazzo Gallone. “Scritti d’impulso spesso non corretti, articoli pubblicati e commenti inediti” dal 2010 al 2016. Frammenti che si uniscono per ricomporre la sensibilità dell’autore, quella che abbiamo conosciuto attraverso gli altri suoi libri e i suoi film, la sua predilezione per i margini, per la bellezza non conforme, per l’arte nascosta, per citare uno dei suoi lavori. Lui stesso lo definisce un modo per “mescolarsi, quasi avvinghiarsi, ancora di più nella realtà straordinaria di una comunità…cui aspiravo con empatia mista a disprezzo alla massima conoscenza interiore”.
È stato come rileggere gli ultimi anni di vita del mio angolo di mondo preferito, sorridere per ogni intervento impertinente - e ce ne sono!-scoprire cose a cui non avevo prestato attenzione, meravigliarmi sempre dell’irrefrenabile bisogno dell’autore di raccontare.
E qui ritorno al punto da cui avevo iniziato: l’indifferenza. Quello che leggo nel libro di Alfredo è l’esatto contrario. È partecipazione, desiderio di conoscere, informarsi, di non aderire a letture stereotipate e perché no, tradurre tutto ciò che cattura lo sguardo in bella scrittura e mai, proprio mai, dimenticare l’ironia. Questa predisposizione dell’animo che non può fare a meno di guardarsi intorno, di posizionarsi nel mondo, è proprio l’antidoto all’indifferenza. Passione sì ma soprattutto compassione: “lapiù importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera-scriveva Fëdor Dostoevskij- quella capacità, cioè, “di estrarre dall’altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione”.
di Maria Assunta Panico Assessore “Assetto del Territorio” . Il Comune di Tricase con Deliberazione del Consiglio Comunale n°10 del 09-03-2017 ha approvato, ai sensi dell’art.4 della L.R. n°17 del 10 aprile 2015, il Piano Comunale delle Coste. Il Piano era stato già approvato, una prima volta, con Deliberazione del Consiglio Comunale n°59 del 22-11-2016 , si è resa necessaria una seconda approvazione per adeguare la pianificazione costiera al redigendo Piano Regolatore del Porto prevedendo l’esclusione dell’area portuale.
Nel suo complesso, il Piano delle Coste è uno strumento di pianificazione che disciplina l’utilizzo delle aree del Demanio Marittimo, con le finalità di garantire il corretto equilibrio fra la salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici del litorale. Le scelte amministrative sono state ispirate dai principi di tutela ed uso ecosostenibile dell’ambiente, accessibilità dei beni del demanio marittimo e al mare per la loro libera fruizione, trasparenza delle procedure. Il Piano è stato redatto con la collaborazione ed il coinvolgimento della comunità locale; da parte dei cittadini, delle associazioni, dei gestori di attività turistiche sono pervenute numerose considerazioni e proposte che hanno trovato la condivisione dell’Amministrazione ed hanno portato a modifiche della proposta di Piano.
La redazione del Piano Comunale delle Coste, seppur inteso come strumento di regolamentazione della fruibilità dell’area strettamente demaniale, si è trasformata in una opportunità per affrontare in maniera interdisciplinare le molteplici problematiche che si presentano nell’area costiera, si sono analizzate le tematiche urbanistiche, edilizie e naturali, permettendo di valutare in maniera organica la “criticità” e “sensibilità” della costa, in relazione ad una molteplicità di fattori, endogeni (fenomeni naturali) ed esogeni (pressioni antropiche).
In particolar modo, il piano delle coste si è rapportato con il contemporaneo iter di formazione dell’Area Marina Protetta “Costa Otranto- Santa Maria di Leuca”, gli studi propedeutici al riconoscimento dell’area hanno, infatti, indicato la fascia marina del territorio di Tricase come un’area privilegiata di biodiversità con caratteristiche uniche, rilevanti rispetto al resto della costa pugliese e con emergenze naturalistiche tali da giustificare non solo la proposta di Area Marina Protetta, ma anche di un nuovo Sito di Importanza Comunitaria.
Il Piano Comunale delle Coste prevede la presenza di 3 Stabilimenti Balneari e 5 Spiagge Libere con Servizi per una percentuale pari al 9% della costa utile. I materiali da utilizzare per la costruzione delle strutture balneari dovranno essere facilmente amovibili e dovranno rispondere agli standars di ecocompatibilità necessari a rispettare e valorizzare le peculiarità paesaggistiche di Tricase. Nei lunghi tratti di costa dove la spiaggia è libera sono previsti sentieri panoramici ed il ripristino dei tratturi esistenti da valorizzare con luci, idonea segnaletica, realizzazione di muretti a secco, potenziamento della vegetazione e della naturalità specifica dei luoghi.
Il Piano delle Coste approvato dal Consiglio Comunale è stato trasmesso alla Giunta Regionale per essere sottoposto alla verifica di compatibilità al Piano Regionale delle Coste.
Giovanni U. Cavallera, nato a Tricase e docente nel Liceo Scientifico Statale “Arturo Tosi” di Busto Arsizio, ha vinto il Premio Internazionale CIRSE 2016.
Giovanni U. Cavallera, dopo aver frequentato il Liceo Classico “Stampacchia” di Tricase, si è laureato presso l’Università Cattolica di Milano, conseguendo successivamente il Dottorato di ricerca in Filosofia dell’educazione presso l’Università di Firenze e quindi l’abilitazione e la cattedra di Filosofia e Storia nei licei. Ha curato, altresì, l’«Archivio della Pedagogia Italiana del Novecento» (Firenze) per la «Fondazione Nazionale Vito Fazio-Allmayer». Alla sua attività di docente affianca l’incarico di redattore di “Porphyra. International academic Journal in Byzantine Studies”, e di collaboratore del Centro di Studi Bizantini “Magnaura” di Venezia. Dove Platone riceve il battesimo non è la prima pubblicazione del giovane studioso, di fatti oltre a vari saggi sulla civiltà bizantina, si è interessato al pensiero del positivismo italiano, cui ha dedicato diverse pubblicazioni scientifiche, ma ha anche pubblicato studi sulla filosofia neoidealista, sul significato dell’architettura e sul Design, partecipando come relatore a diversi convegni scientifici. Socio ordinario del Centro Italiano per la Ricerca Scientifico-Educativa, collabora con la Società di Storia Patria per la Puglia, di cui è Socio ordinario, con l’Università del Salento e con il Centro Interuniversitario di Bioetica e Diritti umani.
Il CIRSE – Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa nasce nel 1980 ed è la più antica organizzazione pedagogica universitaria italiana. Ha contribuito non poco allo sviluppo del settore storico-pedagogico nella Penisola e da anni si è aperto a fruttuosi rapporti scientifici internazionali. Dal 2014 promuove un Premio Internazionale riservato a studi di storia dell’educazione, Premio di ampia risonanza in ambito accademico.
Quest’anno la Commissione valutatrice, composta dai proff. Tiziana Pironi (Presidente, Università di Bologna), Emma Beseghi (Università di Bologna), Luciano Caimi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia), Carmela Covato (Università di Roma Tre), Antonia Criscenti (Università di Catania), Carla Ghizzoni (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano), Gianfranco Bandini (Università di Firenze), tenendo conto dell’originalità del prodotto scientifico; della rispondenza dello stesso alle tematiche afferenti al settore storico-educativo; della esaustività della ricerca; dell’adeguatezza dell’apparato critico-bibliografico, anche di profilo internazionale, ha assegnato il premio a Giovanni Cavallera per il suo volume Dove Platone riceve il battesimo. La formazione come fondamento nell’Impero Romano d’Oriente, Edizioni Mimesis, Milano 2015. Ecco la motivazione: «Il volume affronta coraggiosamente un tema di grande impegno e in parte disatteso dalla storia dell’educazione com’è quello della formazione nella complessa e quasi millenaria vicenda dell’Impero Romano d’Oriente. Nel quadro del fecondo intreccio fra pensiero ellenistico, eredità giuridico-letteraria romana e cristianesimo, tratteggia il progressivo delinearsi della specificità propria della cultura bizantina, con le sue ricadute sul versante educativo, illuminato da una profonda visione teologica. Lo studio offre uno spaccato storico-critico, documentato da fonti e letteratura critica, che orienta alla lettura di una originale pedagogia della formazione dell’uomo, messa in scacco proprio dall’oblio della romanità e dei suoi perduranti valori classici, nel passaggio travagliato del tardo impero romano d’Oriente, dall’antichità alla modernità».
Il saggio di Cavallera è la prima storia organica del concetto di formazione in Bisanzio e dell'impostazione scolastica e universitaria di una civiltà che ha avuto una importanza considerevole nella storia della Terra d’Otranto. Si pensi solo al ruolo del Monastero di San Nicola di Casole e alla presenza capillare delle cripte nel Salento. In questo risiede l’originalità di un’opera che congiunge diversi aspetti della cultura bizantina – dalla teologia all’analisi del cerimoniale - per fornire un quadro coeso e completo del retaggio culturale bizantino, la cui grandezza è stata troppo spesso trascurata in nome di vecchi pregiudizi ormai superati dalla moderna storiografia.
Lettera di Giuseppe Scarascia a Vincenzo Resci
(In margine alla rivolta di Tricase del 15 maggio 1935)
Lettera ad un amico in carcere
La rivolta delle tabacchine si consumò nella tarda serata di giovedì 15 maggio 1935 tra le 20,40 e le 21, davanti al municipio di Tricase, sotto il fuoco dei carabinieri e finanzieri che spararono ad altezza d’uomo sui manifestanti.
L’assassinio di cinque persone non bastò a placare gli animi della polizia fascista che nelle settimane successive infierì ancora sulla popolazione prelevando decine di cittadini, colpevoli di aver partecipato, o solo assistito, alla manifestazione. Nella retata del 22 maggio finirono in carcere gli imputati eccellenti, tra i quali Vincenzo Resci, cittadino esemplare, bollato dal podestà Edgardo Aymone come istigatore della rivolta, mentre al contrario si era impegnato, sin dal giorno precedente, nella pacifica iniziativa di scrivere una supplica al capo del governo e sottoporla alla firma dei soci del consorzio.
Difeso in Corte d’Assise dall’avvocato Antonio Dell’Abate, Resci fu assolto con formula piena, dopo aver pagato il prezzo di una lunga detenzione.Il ritorno a casa avvenne il 2 aprile 1936, accompagnato da Giuseppe Scarascia, l’amico che lo aveva sostenuto nei mesi di prigione tenendolo informato sullo stato di salute della madre e sulle iniziative difensive che egli stesso coordinava da Bari d’intesa con il difensore Antonio Dell’Abate.
La lettera che segue riproduce tutto questo ed arricchisce di utili dettagli gli elementi di conoscenza sulla rivolta e sul clima che si visse nel paese nelle settimane successive al 15 maggio. L’autore della lettera è Giuseppe Scarascia, funzionario del Ministero dell’Educazione Nazionale, che all’epoca dei fatti risiedeva a Bari, quale delegato del suo ministero presso il Provveditorato regionale alle OO.PP. Legatissimo al paese natale, era sua abitudine trascorrere il fine settimana a Tricase, cosa che fece anche il 17, 18 e 19 agosto del 1935, tre giorni nei quali si mosse freneticamente tra il paese e la marina incontrando, spiegando, convincendo gli interlocutori dell’innocenza di Resci e degli altri detenuti.
Il 20 agosto rientrato in ufficio a Bari scrisse la lettera a Resci.
La prima informazione fu per la madre, che aveva visitato nel pomeriggio del 18 agosto trovandola “inconsolabile per l’assenza del figlio”, ma nel contempo fiduciosa nella giustizia di Dio e degli uomini e rassicurata per la forza d’animo del figlio che trovava alimento «nella fonte viva dell’innocenza».
In casa Resci aveva incontrato, in visita alla madre, le tre figlie dell’avvocato magliese Paolo Tamborino con i rispettivi mariti. Uno di questi era il medico prof. Milziade Magnini, deputato in carica, segretario federale del P.N.F. di Taranto, col quale Scarascia s’intrattenne prendendo gli accordi necessari sui passi da fare presso le autorità fasciste.
Lasciata la madre, si recò a casa dell’avvocato Dell’Abate, a Marina Porto, restando colpito e commosso dall’interesse col quale questi seguiva la vicenda dei detenuti e al quale fornì notizie e informazioni utili alla difesa, raccolte durante il giro d’incontri a Lecce e a Tricase. Nella marina incontrò anche Domenico Caputo, protagonista di primo piano nel giorno della rivolta, che la sera maledetta aveva cercato di tranquillizzare gli animi parlando dal balcone prospiciente sul municipio, sede del Circolo del Littorio. Applaudito all’inizio, fu coperto di fischi nel momento in cui aveva preso le difese del Podestà, vedendosi costretto ad interrompere il discorso. Ora però appariva “mutato e ravveduto”.
Rirornato a Tricase Scarascia trovò il tempo per un altro incontro importante. In via XXI Aprile fece visita al commissario prefettizio Giuseppe Caloro, uomo d’ordine del regime, ma di grande affidabilità personale. Il colloquio si protrasse sino all’una e mezza di notte ed ottenne il risultato di convincere l’interlocutore dell’innocenza di Resci e di lasciarlo animato dalle migliori intenzioni, che facevano ben sperare ora che l’ambiente appariva “purificato” dalle dimissioni del podestà Aymone, principale accusatore di Resci.
L’ultimo pensiero nella lettera è per altri due imputati eccellenti, Mario Ingletti e Peppino Cortese, rinchiusi in celle attigue a quella di Resci, al quale Scarascia chiese di «mandare un saluto ad alta voce» secondo la modalità di comunicazione in uso nel carcere.
Giuseppe Scarascia a Vincenzo Resci
Bari, 20 agosto 1935 (martedì) VIII
Mio caro Zino,
dopo le impressioni liete a Tricase di domenica scorsa, soltanto adesso ho riacquistato la mia calma e sono in condizioni di scriverti. D’altra parte me lo ha impedito anche l’enorme lavoro che ho trovato in ufficio, dopo tre giorni di assenza. Ti assicuro innanzi tutto sulle buone condizioni di salute della Mamma tua, la quale è inconsolabile, naturalmente, per la tua assenza. Ad ogni modo Lei è molto sollevata, e spera nella giustizia del Signore e degli uomini: parlarLe di te è la sua più grande consolazione, il suo vero sollievo. L’ho messa al corrente di tutto, e L’ho assicurata nei tuoi riguardi, sulla tua grande forza d’animo, che attinge alimento nella fonte viva dell’innocenza.Non il compianto, ma l’esecrazione per quel che a te è stato fatto è profonda, generale, sentitissima, come mai io avrei potuto immaginare. E ciò, caro Zino, dev’essere per te motivo di orgoglio. Non mi ero punto sbagliato, quando ti scrissi la prima volta dicendoti che questa prova aveva accresciuto in tutti di mille cubiti la simpatia e l’affetto verso di te, ed ora, permetti che aggiunga anche la venerazione dopo i lunghi mesi di tormenti materiali e morali. Domenica dopo pranzo vennero a fare compagnia a Mamma tua le tre figliole di don Paolo insieme con i rispettivi mariti. Col prof. Magnini abbiamo preso gli accordi necessari per il da farsi, e perciò devi essere sempre maggiormente tranquillo.
Secondo il tuo espresso desiderio, alle ore 20 andai alla Marina Porto per porgere i tuoi saluti all’on. Dell’Abate , e per informarlo di quanto io ero venuto a conoscenza durante la mia gita a Lecce e a Tricase. L’interessamento di dell’Abate per tutti, e per te in particolare, è davvero commovente. Egli vede sempre più l’inconsistenza di tante accuse e spera moltissimo nella miglior soluzione finale. Parlammo anche delle tue condizioni di salute, ed egli insieme con me ritiene che ti farebbe molto giovamento, se limitassi un po’ il fumo; non smetterlo, ma limitarlo, usando, se ti sarà possibile, sigarette denicotizzate. Stai attento, mio caro Zino, anche perché bisogna che tu appaia calmo, sereno, forte specialmente dinnanzi agli occhi dei tuoi accusatori , i quali se ti vedessero abbattuto, dopo il riconoscimento della tua innocenza, avrebbero motivo di gioire non fosse altro che per il danno fisico procuratoti.
Siamo intesi? Comunque quale reato infamante hai tu commesso, che possa farti arrossire? Non ti ho detto quanto sei salito in alto nell’affetto e nell’estimazione generale? Avrei voluto che tu fossi stato presente ieri, quando andai a visitare in clinica qui a Bari, il povero Ippazio Greco da Tricase, condannato certamente per un cancro al fegato. Dimenticava, poveretto, le sue gravissime condizioni per domandarmi con affettuoso interessamento di te, e tu sai come sono sinceri i nostri contadini. Mi diceva: «Don Vincenzino poteva fare davvero il signore, ma per il suo buon cuore non aveva mai pace, perché tutti ricorrevano a lui, e lui tutti ascoltava. Pure le petre lu chiancene per quello che l’annu fattu.»
Al Porto volli vedere anche Domenico Caputo , il quale è molto molto mutato. Della tua innocenza, che si fa strada ad ogni costo, glielo dissi e lo confermai con la più grande sicurezza. È ravveduto, e la sua voce non è più quella…
Tornato dalla marina ebbi un colloquio con Peppe Caloro durato sino al tocco e mezzo dopo mezzanotte. Detti la tua nobilissima lettera a lui indirizzata, ed immagina quanto parlammo di te.
A sua richiesta lo illuminai nei riguardi di tante posizioni. Egli sembra animato dalle intenzioni migliori, speriamo che gli venga facilitata la via dall’ambiente purificato e in parte da purificarsi. Ha ripreso la pratica per la istituzione della tanto da me desiderata scuola media inferiore. Ci riusciremo? Comunque a me basta tenere desta l’attenzione al riguardo, sicuro che alla fine la spunteremo. In Peppe Caloro ho fiducia. Sembrava anche che si potesse presentare l’opportunità di avere a Tricase la squadra di rialzo alla stazione ferroviaria. Ma, purtroppo, è un pio desiderio. Proprio ieri ho parlato con l’Ing. Fiastri , direttore della Sud-Est, ed ogni speranza è venuta meno.
Mi pare, mio caro Zino, d’averti tenuto al corrente di tante cose, che possono interessarti, e che rileggendo questa mia, anche per poterla meglio decifrare, ti potrai svagare un pochetto. Manda un saluto ad alta voce a Mario Ingletti e a Peppino Cortese .Stefania , che ha voluto essere informata di tutto, animatamente, ti saluta cordialmente e ti porge, a mio mezzo, i migliori auguri. Bacetti dai figlioli. Da me abbiti, caro Zino, con l’affetto più grande e sempre immutabile un abbraccio forte forte.
Aff.mo tuo Peppino.
di Anna Paola Dell’Abate Parlare dello zio Mino non è cosa facile poi, se penso a tutti i momenti passati insieme sino all’ultimo, le idee, le parole vengono spontanee e sono tuffi al cuore.Ognuno di noi parenti, amici o semplici conoscenti ha dei ricordi bellissimi dello zio e con lo zio.
È stata una presenza costante nell'arco della mia vita e ogni volta che chiedevo un consiglio era pronto a darlo e soprattutto ad ascoltare.
Della sua persona il pregio che ho amato di più, per il quale l'ho sempre ammirato, è stato il suo amore per il prossimo che si esplicava sia nella sua indefessa attività con le Acli sia nei rapporti di ogni giorno. Altro merito che mi fa amare lo zio era il suo saper affrontare silenziosamente e in maniera quasi fatalista le sue temibili e dolorose malattie. Spesso e fino all'ultimo era lui a dare coraggio a noi piuttosto che il contrario. «Se Dio vuole» era il suo credo.
Lo zio nel corso della sua vita non ha mai fatto pesare la sua "posizione". Conosciutoe stimato da tantissima gente sparsa per l'Italia, aveva parole di conforto e speranza con chiunque si fermasse a parlare con lui. Non c'erano differenze. Stringeva le mani a tutti senza esitazione alcuna. Chiunque si rivolgesse a lui - se possibile - otteneva aiuto. Tutti lo stimavano.
Durante i pomeriggi trascorsi a casa delle zie era un piacere ascoltarlo e notavo con quanta passione perorava le sue posizioni e le sue battaglie sempre a difesa dei più sfortunati.
In molte occasioni è stato il "mio biglietto da visita". Cosa voglio dire? Quando mi capitava soprattutto nel periodo liceale di partecipare a feste, incontri a casa di amici che mi presentavano i loro genitori e il mio cognome non bastava, per farmi inquadrare nel contesto sociale, dicevo con fierezza sono la nipote di Giacomino De Donno.
E lì, ottenevo come una sorta di lasciapassare perché lui era una certezza per loro ma soprattutto per me.
Ora che non c'e più, difficile colmare il vuoto che ci ha lasciato, non dobbiamo fare altro che continuare sulla sua scia: metter il prossimo al centro dei nostri pensieri e delle nostre attività, proprio come faceva lui.
Antonio e Sergio quali suoi "eredi" lo stanno facendo da tempo con massimo impegno e orgoglio e ora hanno una responsabilità in più e anche io dovrò farlo perché solo così potrò dire ancora una volta sono lanipote di Giacomino De Donno.
Ciao zio, Ti voglio bene, sarai sempre con me nel mio cuore.