di Alessandro Distante
Domenica 7 aprile gli amministratori locali dei Comuni della provincia di Lecce hanno votato per eleggere i Consiglieri provinciali. Scomparsa da tempo la elezione diretta, in conseguenza della riforma Del Rio, la elezione del Consiglio Provinciale è il frutto di un complesso meccanismo che vede il risultato finale frutto della somma dei voti ponderati espressi.
In poche parole: il peso del voto cambia a seconda del numero degli abitanti dei quali l’elettore/consigliere è espressione. Il risultato ha visto due candidati di Tricase ai primi posti.Primo in assoluto e quindi Consigliere anziano è stato Nunzio Dell’Abate;
tra gli eletti anche Federica Esposito. Dell’Abate ha ottenuto ben 82 voti da parte degli elettori corrispondenti a 6.152 voti ponderati. Si tratta di un risultato di notevole rilievo, considerato che Dell’Abate è stato non solo il primo della Lista ma anche il primo in assoluto.
L’elezione di Federica Esposito (48 voti corrispondenti a 4.057 voti ponderati) è importante perché è la prima volta che una donna di Tricase viene eletta consigliere provinciale.Le donne elette domenica scorsa sono in tutto tre.
I due neo Consiglieri erano candidati per la stessa lista “Salento Bene Comune” di Centro sinistra: Dell’Abate era in quota a Liberi e Uguali, mentre Esposito in quota a UDC. I Consiglieri Provinciali sono 16 ed insieme al Presidente Stefano Minerva costituiscono l’Assise consiliare. Il Presidente può assegnare degli incarichi per specifiche materie, anche se la Legge non prevede più che vi sia una Giunta Provinciale. Ad entrambi va l’augurio della Redazione di buon lavoro.
La mia colonna di Alfredo De Giuseppe
Non credendo all’entità Regione ma alle Province e ai Comuni, in quanto veri riferimenti dell’identità storica e popolare, non posso che accogliere l’invito che a suo tempo lanciò Carmelo Bene di non parlare della Puglia ma delle Puglie. Non per perorare la causa di un ulteriore piccolo ente regionale, più o meno efficiente, più o meno in sovrapposizione con altre istituzioni.
No, accetto la provocazione del nostro geniale conterraneo per evidenziare come
in effetti le differenze all’interno della Regione sono notevoli e vanno forse per una volta esaltate. Per conoscere meglio questo territorio di circa 20.000 kmq, lungo oltre 400 km e abitato da 4 milioni di persone.
Dalla Treccani: “il nome Puglia viene da lontano, è antichissimo, all’inizio identificava la parte nord della regione poi divenne sinonimo di gran parte del Meridione d’Italia. Almeno fino all’epoca normanna, comprendeva la Calabria e la Basilicata. Scomparve verso la fine del sec. XIV dalle designazioni ufficiali, pur sopravvivendo nell'uso comune delle popolazioni e nella tradizione letteraria.
E i tre giustizierati di Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto, che erano stati creati da Federico II, con la sostituzione di quest'ultimo al principato di Taranto della dominazione normanna, rimasero con area presso che invariata sotto gli Angioini, i Durazzeschi e gli Aragonesi; furono durante il dominio spagnolo amputati del territorio di Matera, che passò dalla Terra d'Otranto alla Basilicata (1663)”.
Gli antichi studi geografici dividono la Puglia per lo meno in quattro aree fisiche ben distinte: il Gargano, il Tavoliere, le Murge e la Penisola Salentina. Il frastagliato Gargano che ha rilievi di oltre 1.000 mt a pochi km dal mare e un vasto territorio ricoperto da boschi e macchia mediterranea.
Il Tavoliere, un tempo definito granaio d’Italia, una pianura piatta di oltre 4.000 kmq dove oggi si producono pomodori, olio e vino. Le Murge, a loro volta suddivise in diverse aree, anche se la più nota e affascinante è quella delle gravine, con i suoi canyon a strapiombo.
La Penisola salentina
che è la punta estrema d’Italia, un fazzoletto di terra che racchiude autentici tesori ambientali e storici. Ma io, seguendo Carmelo Bene, voglio aggiungerne almeno altre due aree, la Valle d’Itria, quella dei trulli e di una grande enogastronomia, e l’Arco Jonico, che coincide con il golfo di Taranto e le sue spiagge. Ognuna di queste aree ha la sua caratteristica, la sua bellezza, la sua storia, la sua lingua, le sue tradizioni. Una ricchezza sedimentata di cose e persone davvero invidiabile.
Territori scoperti negli ultimi decenni dal turismo, sia d’élite che di massa.Nei 258
Comuni pugliesi si vive la stagione dell’esplorazione e della nuova identità.
Le masserie ristrutturate son diventate dei resort a cinque stelle, terreni abbandonati son diventati campi da golf, centri storici ristrutturati son diventati meta di movide internazionali, spiagge nascoste son diventate cult nel giro di pochi anni, le case son diventati B&B. Artisti di tutto il mondo vogliono avere una dimora in una delle Puglie, ognuno decantando la sua Puglia.
Queste terre hanno superato nell’ultimo secolo l’endemica assenza di acqua, che, oltre alla difficoltà di una qualsiasi coltivazione intensiva, portava epidemie e mortalità infantile a livelli impressionanti. Si iniziò appena dopo l’unità d’Italia, precisamente nel 1868, ad immaginare e progettare quello che poi sarebbe diventato uno dei maggiori e complessi conduttori d’acqua del mondo, l’Acquedotto Pugliese. Insomma ci sarebbero tutte le condizioni per essere davvero il motore del sud. Abbiamo pochi disastri naturali, non siamo un’isola ma siamo a poche miglia da Paesi in cerca di collaborazioni, scambi economici e culturali, abbiamo ferrovie, porti e aeroporti, strade in sovrappiù.
Abbiamo intelligenze non comuni, fin dai primi pittori italiani, quelli della Grotta dei Cervi, filosofi e pensatori fin dall’antica Grecia, mercanti levantini, sorridenti e tempestivi, abbiamo letterati e politici di gran lustro e infine abbiamo anche attori, registi e sceneggiatori di gran lignaggio. In una terra così, se fosse abitata da olandesi o svedesi, ci sarebbe prosperità, lavoro e un po’ di tranquillità.
Invece i porti non funzionano, non si sono adeguati al nuovo mondo dei trasporti integrati, gli aeroporti sono di secondo livello, le ferrovie sono quelle di fine ‘800, le strade sono state bombardate negli ultimi trent’anni e mai più riparate. Vaste parti del territorio sono inquinate da un’industrializzazione monca e povera.
L’agricoltura non decolla e in questi ultimi anni si è dovuta sorbire da sola il fenomeno xylella.
E soprattutto non c’è lavoro, il turismo non pare mai un’impresa duratura ma un’avventura di poche settimane, i ragazzi scappano, i paesi si spopolano e l’antico piagnisteo continua imperterrito ad avanzare.
La Regione Puglia non ha senso, le Puglie invece sono tutte da conoscere, studiare, approfondire. Perché da lì può venire una speranza.
Intanto è bene sapere che mentre sto scrivendo queste righe, il Presidente Michele Emiliano lavora in ogni direzione, con infaticabile solerzia, alla sua prossima ricandidatura.
Tricase,12 Aprile 2019
di Pino Greco
Qualcosa di buon bolle in pentola: C’è la volontà di tutti, in più la nuova adesione dell’assessore alla cultura Lino Peluso al Comitato Festa San Vito.
Nei giorni scorsi,nella sacrestia della Chiesa della Natività della Beata Vergine Maria o “ Chiesa Madre di Tricase “,alla presenza di don Flavio,si è riunito l’intero Comitato Festa San Vito Martire.
Oggetto dell’incontro: Festa San Vito Martire,Patrono della Città di Tricase.
Dopo il messaggio diffuso qualche settimana fa dal Comitato “ Siamo stati abbandonati a noi stessi,vorremmo lasciare tutto”, sembra che qualcosa di buon bolle in pentola: c’è la seria volontà di organizzare la festa,in più nel Comitato ci sarà la partecipazione dell’Amministrazione Comunale con l’assessore alla cultura e sport, Lino Peluso, che dichiara:
"Si sa, le difficoltà organizzative e finanziarie ci sono.Mettiamo tutti il nostro impegno. Cominciando da me. E’ la festa di San Vito Martire, Santo Patrono della Città di Tricase.
Ho data la mia disponibilità a far parte del Comitato festa.
Inoltre, il Comitato San Vito quest’anno ha diramato un appello per tutti coloro che vogliono farne parte nell’organizzare la festa ma anche chi, soprattutto, ha voglia di aiutare la festa del Santo Patrono della Città di Tricase, anche con un piccolo contributo e soprattutto di essere d’aiuto nel periodo della festa che interessa tutta la Città di Tricase, può contattarci”
di Giuseppe R. Panico
Di primavera, con tanto sole e prati in fiore, cresce la voglia di liberarsi dai torpori dell’inverno e vivere a contatto con la natura. I più anziani tornano a popolare piazze e panchine, cercando ora più ombra e meno sole; i meno anziani stradine di campagna e un più salutare giro-vita per l’estate in arrivo.
Capita loro di passare accanto a chiese e chiesette, compresa la ben nota Chiesa dei Diavoli. Da noi è successo che qualche potente di poca fede abbia fatto un patto col demonio per avere, in una sola notte, una chiesa per i fedeli e un tesoro per sé, in cambio di un’ostia in bocca ad un caprone.
Altri tempi quando il denaro era pure chiamato “lo sterco del diavolo”. Oggi va più di moda il denaro sporco, ma i romani (e non solo) dicevano che: “pecunia non olet” (non puzza…anzi!).
La parola data non venne però mantenuta; il demonio la prese male e scatenò una tempesta che danneggiò chiesa e dintorni e la campana, strappata da una tromba d’aria o tornado (quasi come quello recente), finì nel Rio.
Si dice scavato, anche questo, in una notte, dal demonio per farne forse, come poi fecero tanti altri, sul suo esempio, sulla costa e con più tempo, una dimora abusiva e vacanziera. Del tesoro non si hanno notizie, forse “lavato” altrove o cercato ancora fra muri a secco al chiaro di luna.
I potenti di allora sono passati di moda, non ancora i politici, eletti non più per grazia ricevuta dall’alto, ma, grazie al nostro voto, per portare più in basso le nostre speranze. Spesso anche loro, non più per una nuova chiesa o del bene ai cittadini, ma per una seggiola o poltrona che permetta di fare… “tesoretto”, non disdegnano certo far patti con l’inferno per diabolici “voti di scambio “. La parola data, non è poi, per loro, che una espressione roca e gutturale e, quando non mantenuta, ne oscura l’autore e ne appesta di zolfo il già cattivo alito.
Del caprone non abbiamo notizie, ma, forse ora in preda a pulsioni primaverili, è corso dietro a qualche discinta capretta o pecorella smarrita. Del diavolo si dice che a volte ritorni a far visita alla “sua” chiesa, al suo feudo ed alla sua dimora, fra gli oscuri dirupi e i folti e incolti pini del Rio, o far nuovi adepti. Difficile prevederne l’arrivo, come è difficile prevedere le sue trombe d’aria o i suoi infernali turbinii.
Sta di fatto che quello di novembre di chiese ne ha colpite due, ambedue sante e sulla costa, e scatenato l’inferno sui nostri gioielli (Marina Serra e Tricase Porto). Per rimetterli in piedi, ci vorrebbe proprio un miliardario. Ma come richiamare Briatore, già da noi cacciato, se i cavi Telecom sono ancora lì, tranciati e distesi per terra? La chiesa dei diavoli non è stata toccata forse perché sconsacrata e ridotta ad un solitario edificio con quella strana forma ottagonale che tanto ricorda Castel del Monte e i suoi oscuri misteri.
Pure la sua dimora, il Canale del Rio, con giardino a terrazze e tanti pini, se l’è cavata bene, anzi i pini del diavolo sembrano quasi gli unici rimasti sulla nostra costa. D’ altro canto nessun diavolo metereologico scatenerebbe un pandemonio senza proteggere i suoi beni (campana nel Rio compresa). Meno male che fra noi, forse protetti, almeno nel corpo, (l’anima è incerta), dalla nostra buona stella, riportata sullo stemma cittadino, non si sono avute vittime ma solo danni e, per paura, tante corporali e urgenti… acque reflue da versare poi nel Rio. Povero Rio, oltre al demonio con campana, ha pure quelle acque.
Cerchiamo da decenni un buon “esorcista” da mettere a palazzo con tricolore a tracolla, se non per “santificare” il Rio almeno per sanificarlo e restituirlo a bagnanti e turisti in cerca del sapore di mare di una volta. Purtroppo a palazzo più che acque sante continuano a buttarci più acque reflue e noi, come sempre deboli e chini pure verso gli eletti da noi stessi, “citti e boni, nu se sape mai”. Viene il dubbio che rimestando il diavolo di consueto nel torbido, gradisca i nostri reflui ed essendo il Rio la sua lugubre dimora, salga ogni tanto a palazzo, almeno per garantirsi “in saecula saeculorum” la sua dose giornaliera di acque reflue.
La sua chiesa (dei diavoli), prima sconsacrata, poi restaurata e poi ancora …assegnata, (non a lui, ma ad altri), chissà con quale ritorno economico, ci è costata proprio un bel tesoretto, ma dalle nostre tasche. Ma da noi, restauri e bonifiche, sempre interminabili e costosissimi, raramente finiscono in gloria, perché se il maligno non ci mette le corna, ci mette coda e zampino e, dopo un po’, se non c’è crollo, danni, acqua e umidità, c’è squallore ed incuria.
Passando da quelle parti, sono infatti in bella vista erbacce, abbandono, sporcizia ed insensibilità pubblica e privata. Viene da lanciare una monetina in fronte ai colpevoli. Ma ci hanno già tolto pure quella ed ora, dopo aver noi sborsato circa duecentocinquantamila euro (quasi mezzo miliardo di vecchie lire!) per farne “urbe et orbi” una immagine anche turistica, non resta che indiavolarsi di brutto. Ma che diavolo combinano a palazzo, verrebbe da chiedersi, se soldi e soldoni vengono così mal spesi!
Dicono che tempeste e tornado saranno ben più frequenti e disastrosi. Forse il maligno, ormai da noi con permesso di eterno soggiorno e reddito di cittadinanza (in anime perse), non vede l’ora di scoperchiare ancora. Non più chiese e pentole sulla costa, ma qualche palazzo di città ove, ci sarà pure fede, ma non credibilità.
Finita questa in fondo al Rio fra i nostri reflui, il diavolo e la sua campana.
Tra assenze e musi lunghi,ci sono stati anche momenti di “ smarrimento ” tra la maggioranza e il sindaco Chiuri. E’ successo durante l’ultimo consiglio comunale del 30 marzo scorso.
Sindaco e consiglieri hanno sospeso la seduta (per circa 10-15 minuti) per chiarire e modificare il punto num. 5. Per chi ancora non sapesse di cosa parliamo ,il punto 5 diceva questo:
Rifunzionalizzazione immobili comunali per realizzazione complesso organico strutture per l’incubazione di nuove realtà imprenditoriali e riqualificazione di filiere produttive non valorizzate in aree depresse dell’area transfrontaliera;
non è altro che :
”LA RIQUALIFICAZIONE E UTILIZZO DELL’EX MACELLO DI VIA MARINA SERRA”.
E’ proprio vero:l'inesperienza… provoca una forte turbolenza….
La mia colonna di Alfredo De Giuseppe
Dei cinque castelli di Tricase, quello più sgarrupato è certamente quello di Lucugnano. Eppure ha una sua bellezza, una sua linearità, in stile rinascimentale. È in una bella posizione, riservata ma centrale, di fronte alla chiesa e con la campagna aperta alle spalle. (Come tutti i nostri paesi senza un’organica pianificazione urbanistica, l’edilizia degli ultimi 70 anni non si è sviluppata concentricamente intorno al proprio centro storico, ma seguendo l’asse viario più importante, la statale 275 che lo attraversa).
Si tramanda che il castello, meglio definito come Palazzo baronale dei Capece-Alfarano, fu costruito nel XVI secolo dalla famiglia Castriota Scanderbeg, probabilmente come ampliamento del torrione di difesa quadrato, risalente all’età normanna. Da allora rifacimenti e aggiunte, con relative brutture, tubi, infissi, e una continua divisione fra diversi proprietari delle ventidue stanze che compongono l’intero complesso.
Finestre chiuse in fretta e furia con tufi improvvisati, incuria e abbandono per lunghi decenni. Per fortuna all’interno si sono salvati alcuni particolari di straordinaria arte locale come il grande mosaico raffigurante una torre merlata e alcune chiavi di volta scolpite in rilievo.
Come spesso succede, le informazioni sui nostri monumenti si fermano al momento in cui finisce l’epoca delle grandi famiglie nobiliari e feudatarie. Eppure non meno interessante appare la storia più recente: vediamo di ricapitolare brevemente. Verso la fine del 1700 all’avv. Federico Cortese di Napoli, forse come pagamento di una causa vinta, fu ceduto il baronaggio di Lucugnano, comprensivo del castello.
A metà del 1800 furono abbattute le due torri laterali del castello: il materiale fu utilizzato per costruire l’adiacente Palazzo Comi. Sistema spesso utilizzato a quei tempi. Si preferiva abbattere qualcosa che si riteneva ormai vecchio e inutilizzato piuttosto che trasportare mattoni e pietre da lontano (molte chiese cattoliche sono state edificate con il materiale dei templi romani).
Nel 1855, Lucugnano divenne frazione di Specchia, per poi tornare sotto l’egida del Comune di Tricase nel 1874. Mentre in quei 20 anni si andava formando l’Italia, a Lucugnano il nipote dell’avvocato napoletano, sempre chiamato Federico, si sposava con Gaetana Morrone e metteva al mondo Alessandro Cortese che si sarebbe poi sposato con Giuseppa Colosso di Lecce (figlia del barone Colosso di Arigliano).
Dai vari incroci dell’albero genealogico si arriva alla metà degli anni ’50 del novecento con Vittorio Girasoli che sposa Maria Cortese, abitando per alcuni anni nelle stanze del castello. Dagli anni ’70 in poi fu abitato occasionalmente per pochi giorni l’anno, specialmente nella parte destra, resa un po’ confortevole da una discutibile ristrutturazione interna.
La parte sinistra e centrale del Palazzo è attualmente di proprietà della famiglia Frascaro di Lecce, ricevuta in eredità, sempre in asse genealogico con il primo Federico Cortese, mentre quella a destra è degli eredi Pispero, originari di Lucugnano ma residenti anche loro a Lecce (il piano superiore non è in sostanza utilizzato da nessuno e in alcune parti denota i guasti del tempo).
Nel 2008 Girolamo Cazzato, un ragazzo di Lucugnano, prese in locazione la parte centrale del piano terra, presumibilmente dove erano le vecchie stalle, la ristrutturò e vi aprì un ristorante chiamato “il castello di Momo”. Nel 2015 l’attività è stata ceduta a Giuseppe Galati di Surano, che in questi anni ha anche ripulito e utilizzato il giardino, specialmente in estate (con un ottimo menù di pesce per differenziarsi dall’eterna Iolanda).
Ci sono dei motti intarsiati nella pietra, ancora leggibili. Uno apposto su una finestra recita: Omnium rerum est vicissitudo, cioè: “Di tutte le cose avviene il cambiamento”. Sembra il motto perfetto per il nostro castello: ha subito tantissimi cambiamenti, quasi tutti in peggio. Potrebbe succedere, non foss’altro per calcolo delle probabilità, che si possa immaginare un vero cambiamento, direi un miglioramento complessivo.
L’assenza di un luogo aggregante si nota anche a Lucugnano, dove i bar chiudono, i giovani sono altrove e i vecchi sono davanti alla Tv. Forse, il castello, riportato in qualche modo al centro della vita di comunità, potrebbe essere il simbolo dell’unione e della rinascita.
Solo se qualcuno lo volesse, nei casi di manifesto buon senso.
Le truffe, sono un pericolo sempre attuale. E’ fondamentale prevenire.
La Compagnia Carabinieri di Tricase, in collaborazione con l’associazione nazionale dei carabinieri di Tricase e con il patrocinio del Comune di Tricase, invita tutti i cittadini a partecipare all’incontro che si terrà mercoledì 10 aprile alle ore 18 a Palazzo Gallone.
L’iniziativa vuole informare e sensibilizzare la cittadinanza sul fenomeno delle truffe che molto spesso vedono come vittime le fasce di popolazione più “vulnerabili” come anziani o persone fragili.
Si sa,le truffe sono tante e in continuo aumento,
qui di seguito elenchiamo quelle più “ operative ”:
di Pino Greco
Il “nuovo” cimitero senza più loculi.
Il “vecchio” camposanto in stato di “degrado”.
La questione segnalata da tanti cittadini è molto dolorosa.
Perché proprio in questi giorni, nel “nuovo” cimitero, dopo lunghi 30 anni dalla data di sepoltura
(le prime salme risalgono al 1987), la salma di un defunto viene riesumata e sottoposta a controllo; se il corpo rinvenuto è ancora integro
(per considerarlo non integro devono rimanere solo le ossa), i familiari possono scegliere di far interrare, o porre di nuovo nella stessa tomba i resti mortali(pagando una quota aggiuntiva per altri anni).
La questione è particolarmente sensibile per tutti i familiari che segnalano da tempo le grosse difficoltà nei due luoghi di pace e riposo.
Difficoltà conosciute da quasi tutti, ma, ad oggi poco e nulla si è mosso, fatta eccezione delle povere salme “dislocate” dalle Confraternite,senza dimenticare la vergognosa condizione del vecchio cimitero di Tricase che costituisce un rischio per l’incolumità di tutti, oltre ad una mancanza di rispetto per le salme e le famiglie dei defunti
di Gerardo Ricchiuto
Se n’è andato in punta di piedi dalla scena terrena all’età di 91 anni il dott. Franco Leo, Primario Emerito di Medicina dell’Ospedale “Card. G. Panico” di Tricase.
Il dott. Franco Leo
Faceva parte di quel nucleo originario di medici che la Madre Generale delle Suore Marcelline di Milano, Suor Elisa Zanchi, convocò presso l’Hotel Exelcior di Napoli per avviare l’attività ospedaliera. Di quel gruppo il dott. Leo, fu colui che sin da subito cominciò ad interessarsi anche di problematiche organizzativo-lavorative dei medici che iniziarono a lavorare, come egli ebbe a scrivere, “in una semplice casa di cura privata”. In breve si arrivò poi al decreto del Medico Provinciale del 6 novembre 1968, cui fece seguito il decreto del ministero della Sanità del 16 dicembre 1969 con il quale “i servizi e ititoli acquisiti dal personale dell’Ospedale Cardinale Panico di Tricase sono equiparati ai servizi ed ai titoli acquisiti dal personale in servizio presso Ospedali di Zona, amministrati da Enti ospedalieri pubblici”.
A tal proposito egli, per meglio affrontare tali problematiche lontane dalla formazione medica, ritenne opportuno aderire al sindacato medico CIMO e pruomuoverne la diffusione all’interno della neonata struttura ospedaliera ed in provincia,.poichè lo riteneva l’unico sindacato di categoria non legato al carrro dei partiti. In tale ruolo, con lungimiranza ed imtelligenza, in questa nostra sonnolenta periferia sociale e sanitaria, il dott. Leo riuscì a rappresentare e a mediare, tra le esigenze dell’Ente e dei medici, le peculiari istanze che la nascente ospedalità classificata, cui appartiene l’Ospedale di Tricase, andava via, via ponendo. Gli interlocutori privilegiati furono le figure fondanti dell’ Ospedale, a Milano Madre Elisa Zanchi ed il suo consulente legale Avv. Luigi Costanza ed a Tricase la Madre Superiora, Suor Dina della Morte e la Direttrice Amministrativa, Suor Giulietta Mandelli. Sul piano squisitamente professionanle, intanto, egli,da stimato cardiologo, formatosi alla scuola del Prof. Camilli di Firenze il quale fu il padre dei pace-maker in Italia, con slancio operativo si mise al lavoro seguendo essenzialmente due direttrici: la formazione e l’aggiornamento dei suoi collaboratori e l’ammodernamento dell’organizzazione dei reparti di Medina Uomini e Donne che era chiamato a dirigere.Consapevole della incombenza sempre più stringente di tempi nuovi anche in sanità, per certi versi prefigurandoli, sempre più spingeva e spronava i suoi collaboratori ad aggiornarsi e specializzarsi..Favorì sin da subito i rapporti e le convenzion con le università, con le scuole di specializzazione, anticipando di anni quell’ospedale di formazione di cui tanti ancora oggi parlano, compreso l’attuale Ministro della Salute, come la modalità più adeguata per la formazione del medico da concretizzarsi sul campo, negli ospedali, e non esclusivamente nelle cliniche universitarie.
Quegli stimoli e quei percorsi cominciarono già nei primi anni a produrre i frutti; si passò da una medicina basata essenzialmente sulla semeiotica e sugli esami di laboratorio di base, ad una medicina che intensificava l’utilizzo delle indagini strumentali anche invasive per la diagnostica e la terapia come l’endoscopia digestiva, l’endoscopia broncoscopica e toracica, il trattamento dialitico, la diagnostica doppler ed ecografica. Si formò così un gruppo di lavoro, specializzato nelle diverse branche internistiche, al quale egli assicurò piena autonomia operativa, organizzato su base “dipartimentale”, allo scopo di erogare un’assistenza specialistica più qualificata in termini specialistici, ma nello stesso tempo unificata da una visione globale e coordinata del paziente.
Così ai due iniziali reparti di Medicina (Uomini e Donne) si aggiunsero dapprima la Sezione di Cardiologia e la Sezione di Pneumologia, successivamente il Servizio di Emodialisi cui è stata affiancata una Sezione di Nefrologia, il Servizio di Endoscopia Digestiva, l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC), il Day- Hospital Oncologico ed il Servizio di Neurologia..
Completò l’opera di crescita ed ammodernamento dell’assistenza ospedaliera favorendo l’istituzione del Centro di Rianimazione, il secondo ad essere attivato in provincia, dopo quello dell’Ospedale “V. Fazzi” di Lecce. Ne diede il battesimo, per così dire scientifico, organizzando, insieme al dott. Silvio Colonna ed al dott. Pasquale Barone, a Lecce un importannte convegno scientifico nazionale sulla insufficienza respiratoria che vide la partecipazione come relatori delle personalità nazionali ed internazionali più autorevoli sull’argomento. Il suo impegno nel campo formativo scientifico era una fucina di eventi, dagli incontri rivolti ai medici di medicina generale, a quelli rivolti agli specialisti delle più diverse specialità internistiche, il suo dinamismo organizzativo anche in questo settore non aveva pari in tutta la provincia, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Arrivò inoltre ad essere eletto Presidente dell’Ordine dei Medici, ruolo che ricoprì con fermezza e decisione finchè lo ritenne compatibile con il suo modo di intendere il ruolo del medico e della professione. Chi come il sottoscritto ha avuto modo di conoscerlo da vicino, lo ricorda con affetto e riconoscenza per la sua schiettezza, immediatezza e generosità con gli ammalati e con i colaboratori.
“Aci sciamu ‘rreta comu lu zzucaru”.
Tutti, chi più chi meno, ce lo siamo sentito dire almeno una volta nella vita ma, chi è o, forse meglio dire, chi era “lu zzucaru” e, perché andasse all’indietro, a molti sfugge.
Lu zzucaru altro non era che il cordaio, il costruttore di corde, figura oramai quasi completamente scomparsa, o presente solo nelle rievocazioni storiche e in qualche sporadico evento culturale.
Eppure, la sua professione e la sua arte di ritorcere le fibre per ottenere corde e fili era ed è tutt’ora fondamentale nella nostra vita. Sono ritorti i fili usati per cucire, ricamare, ormeggiare imbarcazioni, anche dare qualche punto di sutura a qualche povero sfortunato.
“Appuntamento con … il cordaio e l’arte della torcitura” è il primo di una serie di incontri di conoscenza e di esperienza pratica con le arti e i mestieri delle genti di mare e di terra, messo a punto dall’Associazione Magna Grecia Mare e dalla Scuola Municipale di Antica Marineria del Porto Museo di Tricase, per far scoprire e toccare con mano una delle “invenzioni” più importanti nella vita dell’uomo e nel suo processo di civilizzazione.
È un’anteprima delle attività che, attraverso la Città di Tricase, il CIHEAM Bari ed i loro partner, vedranno protagonista il Porto Museo, impegnato nel progetto MUSE (co-finanziato dal programma di cooperazione territoriale Interreg V-A Greece-Italy) con l’obiettivo di valorizzare e far crescere il “modello Porto Museo”, anche grazie all’ambiziosa creazione di una scuola internazionale delle arti e dei mestieri legati alle comunità costiere (mare e terra), con annessa piccola residenza.
Cordatrici a leva e a ruota, auto prodotte, saranno sulla banchina, a disposizione di quanti vorranno cimentarsi nell’antica arte della torcitura ma, soprattutto, di quanti vorranno finalmente capire perché lu zuccaru andava all’indietro.
L’evento sarà animato, oltre che dagli istruttori della Scuola Municipale di Antica Marineria, anche da Andrea Maggiori, conosciuto come “L’uomo dei nodi” ed uno dei più grandi attrezzisti navali in Italia.
Ligure, del Porto di Chiavari e annodatore di fama internazionale da oltre 40 anni, Andrea è uno dei pochi italiani a far parte dell’IGKT - International Guild of Knot Tyers ed ha pubblicato nel 2017, insieme alla tricasina Monica Martella, il libro intitolato “Nodi, intrichi comprensibili” (Marcovalerio Edizioni).
Mercoledì 3 Aprile
51° Anniversario della morte di Girolamo Comi
Casa Comi a Lucugnano aperta fino alle 22
Domani, Mercoledì 3 Aprile, ricorrerà il 51° anniversario della scomparsa del poeta Girolamo Comi, che si spegneva nella sua casa di Lucugnano proprio il 3 Aprile del 1968.
Per l'occasione Casa Comi resterà eccezionalmente aperta fino alle ore 22, in modo da consentire al pubblico e ai cittadini una ulteriore occasione di visita nella Casa Museo del grande letterato salentino. Sarà anche possibile ammirare la mostra "Girolamo Comi. Spirito d'Armonia", inaugurata a Palazzo Comi il 22 marzo scorso, promossa dal Polo Biblio Museale della Provincia di Lecce. La mostra è allestita anche presso il Convitto Palmieri di Lecce (apertura tutti i giorni dalle 9 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 21 fino al 15 Giugno).
Casa Comi ospita una delle Biblioteche più importanti della nostra regione; circa la metà dei volumi della Biblioteca di Lucugnano sono edizioni e pubblicazioni francesi, con alcuni libri che rappresentano dei veri pezzi unici e rari. Ad aggiungere "ricchezza" a questa bellissima collezione ci sono il Fondo Fuortes, il Fondo Valli e l'Archivio Unione Donne Italiane. Inoltre non si può dimenticare l'epistolario che documenta il ricco scambio culturale che Comi, per anni, ebbe con i più importanti rappresentanti della cultura e della letteratura italiana del tempo.
La Biblioteca di Girolamo Comi a Lucugnano è inoltre stata recentemente inserita nel circuito delle Biblioteche e degli Archivi d'autore del '900 promosso dalla Fondazione Carlo e Marise Bo di Urbino, tra le poche biblioteche del meridione e unica in Puglia ad avere ottenuto questo prezioso riconoscimento.
Nei giorni scorsi è stato anche siglato un patto di collaborazione tra il Polo Biblio Museale di Lecce e l'Associazione di Promozione Sociale "Tina Lambrini - Casa Comi", il cui obiettivo è quello di migliorare e potenziari i servizi della Biblioteca Comi e di mettere in atto processi e progetti di tutela, valorizzazione e fruizione di questo prezioso luogo che il Capo di Leuca ha l'onore di ospitare.
L'iniziativa dell'apertura straordinaria è stata promossa proprio dall'Associazione "Tina Lambrini - Casa Comi" che, con l'ausilio del personale della Regione Puglia, ospiterà i visitatori per tutta la giornata del 3 aprile e con la collaborazione della Provincia di Lecce.
A disposizione dei visitatori ci sono anche il Catalogo della mostra, un'Antologia e dei Quaderni celebrativi; le somme ricavate dalle donazioni e dalla distribuzione di questi materiali saranno utilizzate per iniziative culturali e azioni di tutela a Palazzo Comi.
Per informazioni è possibile telefonare al numero 380/4580810 o scrivere una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.