di Ercole Morciano

Fu sotto Ferdinando II di Borbone, penultimo re delle Due Sicilie, che «il comune di Depressa aggregato a quello di Tricase in Terra d’Otranto» fu autorizzato a «tenere una fiera annuale ne’ giorni 26 e 27 di settembre», ovvero nella ricorrenza della festa dei santi medici Cosma e Damiano che la Chiesa ricorda in quei giorni. È il contenuto del decreto reale n.1531 dato a Napoli il 25 settembre 1854 e pubblicato al n. 72 della “Collezione delle Leggi e de’ Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie” dell’anno 1854.

Ringrazio, per la “scoperta”, Donato Antonaci dell’Abate, che ha esposto il documento nell’ambito della mostra sulla Tricase del passato da lui curata nelle sale di palazzo Gallone da luglio a settembre e che, nella probabile estensione, sarà visitabile fino a dicembre.

Tornando al decreto, possiamo trarne alcune notazioni per inquadrarlo nel suo contesto e rapportarlo al presente.

Ferdinando II, nato a Palermo nel 1810, cinse la corona nel 1830 e la mantenne fino alla morte, nel 1859. Inizialmente riformatore, il suo anno cruciale fu il 1848: prima concesse la Costituzione e poi la ritirò per volgersi verso una deriva assolutista e accentratrice. Proprio nel 1848 ebbe uno scontro diretto col nostro Giuseppe Pisanelli che si era recato presso di lui con altri deputati liberali per perorare la causa della Costituzione.

Pisanelli venne con disprezzo apostrofato “pagliè”, paglietta, avvocato da strapazzo. Ferdinando II morì nel 1859, circa 5 anni dopo la promulgazione del decreto per la fiera di Depressa e gli successe il figlio Francesco II che fu re fino al 1861, quando lasciò Napoli in seguito alla “impresa dei Mille” comandata da Garibaldi.

Sindaco di Tricase, nel 1854, era l’avv. Salvatore Raeli; arciprete di Depressa era don Vincenzo Piccinni (1849-1883). Depressa contava circa 600 abitanti; già “universitas”, era all’epoca «comune aggregato a quello di Tricase» a causa della riforma amministrativa avviata dai Napoleonidi (1806-1815) e mantenuta in seguito dai Borbone ritornati a Napoli; con l’avvento del regno d’Italia (1861)  i “comuni aggregati” prenderanno il nome di “frazioni”. Finalmente Depressa realizzava l’antica aspirazione ad avere una propria fiera per solennizzare ancor più la devozione ai santi Cosma e Damiano.

Una fiera non era solo fonte di profitto per la vendita dei prodotti quasi tutti locali nell’ambito di un’economia arcaica e prettamente agricola, rappresentava anche un elemento di prestigio per il paese e i suoi abitanti.  E Depressa aveva superato l’esame istruttorio al quale faceva riferimento il reale decreto: «serbate le prescrizioni contenute nelle sovrane determinazioni del primo di giugno 1826 e degli 8 di giugno 1853». In pratica fiere e mercati non si dovevano tenere di domenica o in altri giorni di precetto per non distogliere i regnicoli dai doveri religiosi e l’altra condizione era che non ci fossero fiere nello stesso periodo nei paesi circostanti.

Ora la fiera dei SS. Medici non si tiene più perché sono cambiati gli scenari economici che la giustificavano; verso i santi rimangono invece ben saldi il culto e la devozione di Depressa che affondano la loro radice nel lontano passato.

Duole invece sapere che il paese ha perduto la sezione di scuola dell’infanzia: l’ultimo baluardo della pubblica istruzione. Non è questa la sede per fare un rapporto costi-benefici, ma ciò comporterà la diaspora dei bambini, disagi per loro e le loro famiglie e diventerà ancor più difficile mantenere la specificità della loro appartenenza, che non è un limite ma un bene prezioso.  

 

di Pino Greco

Cercasi nonno vigile”. Il 13 settembre 2018, a firma del sindaco Carlo Chiuri e dell’assessore Sonia Sabato, sono stati affissi anche nelle vicinanze della scuola di via Gattamelata in Depressa, nelle plance di informazione, i manifesti con la scritta Nonno Vigile ”.

Il messaggio scritto dall’Amministrazione Comunale, nell’ambito dei servizi di supporto alla scuola ed in particolare agli alunni e genitori delle scuole dell’obbligo, intende attuare il servizio Nonno Vigile, quale progetto di valenza sociale che valorizza il corretto apporto degli anziani a servizio dei minori scolari in un contesto anche di natura educativa.

Scritto ciò, la domanda sorge spontanea: Se non ci sono i bambini che vanno a scuola, in quanto hanno chiuso la Scuola media, la Scuola elementare e anche la Scuola materna, come è possibile affiggere a Depressa i manifesti “nonno vigile”?

Distrazione o, ancora una volta, siamo su Scherzi a Parte?

Oppure sarà uno stimolo per sollecitare tutti a fare una vita buona nella società attiva di Depressa?

Una cosa è certa: i generosi nonnini di Depressa non “ritorneranno a scuola”adindossare le classiche pettorine catarifrangenti per … mancanza di alunni.

Tricase Porto,1 ottobre 2018

Il Porto Museo di Tricase sempre più al centro delle attività di alta formazione internazionale e centro di eccellenza per la formazione dei nuovi scienziati, delle nuove classi dirigenti e dei nuovi operatori economici, sociali e culturali del bacino mediterraneo e non solo, nei settori ecologia e biodiversità marina e costiera e crescita sostenibile dei territori e delle comunità costiere.

È iniziata oggi, presso l' Avamposto MARE, nel Porto Museo di Tricase,la 2° Summer School Internazionale  . Un approccio integrato alla biodiversità degli invertebrati marini: adattamenti evolutivi e funzionali”.

Venti studenti di differenti Paesi, guidati da docenti provenienti dalle Università di Lille e Marsiglia (Francia), Londra (Gran Bretagna), Milano, Palermo, Padova e dall'Università del Salento, dalla Stazione di Biologia di Roscoff (Francia), dall'Institut Méditerranéen de Biodiversité et d’Ecologie marine et continentale, (Danimarca) e dall'Israel Oceanography and Limnological Research, National Institute of Oceanography (Israele), studieranno le cellule staminali di invertebrati marini / acquatici (MISC) alla ricerca di idee innovative relative a varie discipline biomediche.

La Summer School è organizzata nell’ambito di un accordo congiunto di cooperazione accademica tra le Università di Milano, Padova, Palermo e Salento (Lecce) e con il supporto della COST ACTION 16203 - MARISTEM ed all'interno del programma di attività formative e di cooperazione scientifica e per lo sviluppo posto in essere dall' Avamposto MARE, sede periferica del Ciheam Bari.

Sempre investendo in cultura e natura!

 

Un incontro teatrale per ascoltare storie di mondi lontani, narrate da chi ha dovuto lasciare la propria famiglia e i luoghi dell’infanzia per cercare in Italia la speranza di una nuova vita.

Gli ospiti del progetto SPRAR del Comune di Tricase, gestito da Arci Lecce, metteranno in scena frammenti d’infanzia, ricordi di tempi passati, brevi descrizioni di paesi e sentimenti lontani, eppure sempre presenti nell’animo di chi li ha amati e vissuti.

A guidare il gruppo di giovani provenienti da diversi paesi dell’Africa e del Vicino Oriente sarà l’attore e regista Fabrizio Saccomanno, che nel corso dei mesi scorsi ha condotto un laboratorio teatrale concepito come un luogo accogliente, dove le vite di persone provenienti da contesti geografici e culturali diversi si sono incontrate, divenendo la trama di un racconto corale semplice, ma molto emozionante.

L’incontro teatrale si terrà venerdì 5 ottobre 2018 (ore 20) nell’atrio di Palazzo Gallone a Tricase e sarà preceduto dagli interventi di Carlo Chiuri, Sindaco di Tricase, Lino Peluso, Assessore alla Cultura del Comune di Tricase e Anna Caputo, Presidente di Arci Lecce.

Introdurrà l’incontro teatrale l’attore e regista Fabrizio Saccomanno.

 

Giovedì 4 ottobre 2018, a partire dalle ore 16.30, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università del Salento,  nell’ambito delle attività del Corso di Diritto dei consumatori e del mercato, si  terrà il  seminario “Scelte di consumo e lotta alla contraffazione”, che vedrà impegnati, tra i relatori, illustri rappresentanti del mondo  accademico e delle istituzioni.


L’evento si inserisce nell’ambito del progetto “Io sono originale”, presentato dal Ministero dello Sviluppo  Economico e promosso dalla DG Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, al fine di diffondere la cultura della  legalità nel ‘mercato’ del ‘falso’.


Il  seminario di studi mira ad evidenziare il carattere plurioffensivo della contraffazione che, oltre a danneggiare le imprese ed il regolare funzionamento del mercato concorrenziale,  rappresenta un pericolo per la sicurezza e la salute dei consumatori.


Grazie all’impegno di ADUSBEF,  nelle persone del suo Presidente,  Avv. Antonio Tanza, e

dell’ Avv. Donatella Cazzato, il seminario ha l’obiettivo di individuare  i contorni di un percorso che non releghi  il consumatore a vittima  inerte di condotte scorrette,  ma lo renda  protagonista consapevole di scelte di legalità e dell’importanza che tali scelte hanno sia per  la società, sia per il mercato. 

Sono previsti gli interventi dei Professori Ernesto Capobianco, Giulio De Simone, Antonio  Jannarelli e Sara Tommasi, del  Dott. Pasquale Coletta - Direttore ad  interim - Ufficio delle Dogane di Lecce, dell’ Ing. Nicola Talamo -  Delegato Direzione - Ufficio delle Dogane di Lecce,  del Dott. Antonio Califano - Capo Area Verifiche, Controlli ed Attività Antifrode  dell’Ufficio delle Dogane di Lecce e del  Col. t. ISSMI Salvatore  Paiano - Comandante Gruppo Anticontraffazione e Sicurezza Prodotti Nucleo Speciale Beni e Servizi Guardia di Finanza di Roma.

L’evento, di sicuro rilievo scientifico e pratico- operativo, ha ottenuto il patrocinio ed il riconoscimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di  Lecce.

I Genitori

Un cancello verde, un albero di falso pepe dal consistente e profumato fogliame, uno scivolo, un' altalena e una giostrina. Tutto ciò che gli occhi innocenti dei bambini hanno bisogno di vedere al mattino nel momento in cui fanno il loro ingresso a scuola.

Poi qualche passetto in più ed eccoli su di un'ISOLA FELICE.Un salone accogliente e suggestivo con una sceneggiatura che fa volare la fantasia dei bambini oltre le mura scolastiche accompagnandoli in un castello incantato ... davanti al focolare di Geppetto ... sotto un fondale marino ...

Una sezione ampia e luminosa, corredata di materiale didattico e stimoli visivi, arricchita da validi supporti per nutrire le menti dei più piccoli, un refettorio che ospita i bambini in una sala adibita alla convivialità e che non coincide con lo stesso ambiente in cui si svolgono le attività didattiche (come accade in molte scuole che non dispongono di una sala mensa), uno spogliatoio a misura di bambino, la toilette e la cucina. Tutto a disposizione dei bambini, facilmente raggiungibile dai loro passi svelti e sguardi curiosi.

Una scuola poco affollata, silenziosa, spoglia nei numeri, ma ricca di valore educativo e dotata di senso pedagogico.I bambini che la frequentano trascorrono gran parte della giornata in una seconda famiglia, in un ambiente tranquillo e incontaminato dalle leggi talvolta paradossali di una scuola che punta a formare alunni "competenti" sottovalutando, però, quell'approccio alla persona, fondamentale per accompagnare il bambino nella sua crescita.

Gli alunni iscritti alla scuola dell' infanzia di Depressa vivono serenamente nell'Isola che non c'è, fino al giorno in cui una notizia poco felice rompe l'incantesimo.A maggio i genitori vengono a sapere, in via ufficiosa, che la sezione potrebbe non essere autorizzata per il successivo anno scolastico, a causa della carenza di iscrizioni.Da quel momento, preoccupati per le sorti della scuola, i genitori chiedono al Dirigente scolastico un incontro urgente per avere maggiore chiarezza sulla questione.

Il tempo passa, i genitori insistono. L'anno scolastico si conclude con un'accurata rappresentazione in cui i bambini ripercorrono le tappe principali del percorso didattico svolto durante l'anno da docenti encomiabili sia umanamente che professionalmente. In questa calda serata di giugno, nel salone della scuola, si vive l'emozione dei saluti che precedono le vacanze estive unita alla preoccupazione per un futuro incerto, ma, al contempo, nei cuori dei genitori è ancora accesa la speranza che la scuola possa vivere ancora.

Intanto interviene il Dirigente scolastico … invano.A questo punto (siamo giunti a luglio 2018) i genitori chiedono di poter essere ricevuti dal Dirigente dell'Ufficio scolastico provinciale e quindi si recano a Lecce per avere ulteriori aggiornamenti.L' esito dell'incontro in Provveditorato rivela la necessità di avere più iscrizioni, ma alimenta le speranze. Viene infatti  prospettata la possibilità di autorizzare la sezione per le 25 ore settimanali come tempo scuola con una sola unità di docenza.

I genitori, consapevoli delle difficoltà gestionali di un sistema scolastico che punta a ridurre gli sprechi ed ottimizzare le risorse, sono pronti ad accettare (nonostante il disagio alle famiglie che avrebbe comportato un tempo scuola ridotto) e così si attivano subito per aumentare il numero di iscritti, che passa da 12 a 15 unità.Siamo a metà luglio. Nessuna risposta certa, ma ancora tanta speranza. Bisogna attendere la seconda metà di agosto per avere delle risposte.Intanto i genitori non si arrendono e, tenuto conto del fatto che la scuola dell' infanzia di Castiglione conta 15 bambini, decidono di incontrare il Sindaco di Tricase.

L' incontro con il Primo Cittadino risulta essere rassicurante. L' Amministrazione comunale si sarebbe impegnata e avrebbe fatto di tutto, per quanto le compete, per mantenere in vita l'unico brandello di scuola esistente a Depressa, dato che la frazione ha perso in passato la scuola primaria e secondaria di primo grado.Ebbene, giunti al 31 agosto, nessuna notizia. Tutto tace, tranne le voci di genitori tenaci, pronti a difendere ad ogni costo un'eccellente scuola di periferia.

Il capo d'istituto termina il periodo di reggenza e dal 1° settembre l' I. C. di via Apulia passa alla reggenza di un nuovo preside.I genitori dei bambini iscritti a Depressa incontrano il nuovo capo d'istituto il quale comunica la quasi impossibilità di mantenere la sezione per mancanza di unità disponibili nell'Organico.Solo nella prima settimana di settembre, a pochissimi giorni dall' inizio delle lezioni, viene appresa notizia che i bambini sarebbero stati accorpati ad una sezione nella sede centrale del Comprensivo.

Arrivati a questo punto, il Sindaco riceve da parte dei genitori un appello accorato a contattare i vertici delle istituzioni coinvolte.Dopo tutte queste vicissitudini è facile intuire il finale: il gruppo dei bambini della scuola dell'infanzia di Depressa è stato disgregato. Le famiglie sono state costrette a collocare i propri figli in vari istituti laddove ci fosse la possibilità di inserirli alla vigilia dell' inizio anno scolastico.

Il tutto senza una preventiva valutazione e scelta oculata della scuola.La battaglia per difendere questa realtà scolastica d'eccellenza è andata persa perché è stata condotta senza gli attori principali coinvolti.Quali sono stati i provvedimenti per evitare la soppressione di una scuola che avrebbe fatto la differenza? (…  non a caso si stava già verificando una paradossale inversione di tendenza per la quale genitori residenti a Tricase avevano scelto la “piccola” Scuola dell’Infanzia di Depressa per i loro figli).

A questo punto, ad anno scolastico oramai avviato, gli interrogativi che rimangono ancora senza una valida ed esauriente risposta sono i seguenti:C’è qualcosa che poteva/doveva essere fatto – da persone più competenti di noi genitori – per  assicurare la continuità di una così preziosa realtà in nome di quel "Patto Educativo di Corresponsabilità" scuola/famiglie ed in ragione degli appelli ripetutamente rivolti da quelle stesse famiglie a chi ha il dovere/onere di assicurare a tutti e ovunque il diritto allo studio?

Oppure le frazioni, già penalizzate sotto tanti punti di vista, devono accettare sommessamente anche la privazione di quel fondamentale diritto (sulla base dell’assurda “legge dei numeri”), cosa che non accade invece nei più sperduti paesi di montagna o delle piccole isole?

La politica dello struzzo non può reggere una comunità educante, non si può educare nascondendo la testa sotto la sabbia. Ci saranno in futuro la volontà e l'impegno per poter restituire alla piccola comunità quel pezzo di tessuto culturale che le è stato strappato?

 

 

di Giuseppe R. Panico

Chiudere una scuola è sempre un evento doloroso per l’intera comunità. Se poi la scuola è quella materna, dopo aver già chiuso quella media ed elementare, è come se fosse l’ultimo “ammaina bandiera” per poi staccare la spina. Senza nemmeno una scuola, senza attrattive di sorta, senza nuovi arrivi, se non qualche migrante da integrare e, soprattutto, senza nuove occasioni di lavoro, la comunità invecchia e si dissolve ancor più rapidamente.

Il paese diventa un mero quartiere dormitorio per gente sempre più rada ed anziana e cala anche la motivazione politica ed amministrativa per la gestione e manutenzione delle opere pubbliche. Il nostro PUG in itinere (o da storia infinita!) che si basa, o dovrebbe basarsi o avrebbe dovuto basarsi (da decenni!) non sulla bulimia da lottizzazione, ma sull’entità della popolazione e ben motivate prospettive di crescita, diventa così, in qualche frazione, una mera esigenza burocratica o una cura tardiva e palliativa.

I prezzi di case e terreni vanno ancora più giù e si diradano gli investimenti pubblici e privati. Succede anche altrove e sempre più frequentemente per il calo delle nascite che affligge l’Italia ma, nel nostro Meridione, anche per l’emigrazione giovanile e la perdurante inadeguatezza della politica. Inadeguata, se non per moltiplicare le nascite, per favorirle creando occasioni di onesto lavoro e sicurezza sociale.

Invece, l’Italia primeggia in Europa per evasione fiscale, la Puglia anche per illeciti o irregolari affitti estivi (ultima stagione) e primissima, dopo Sicilia e Campania, su ben 276 regioni europee, per i giovani senza lavoro e che restano a casa (36,4 %),

E a casa con mamma e papà, è ben difficile che pensino a diventare, a loro volta, mammà o papà. Siamo fra gli ultimi nell’ utilizzare proficuamente anche i fondi europei, troppo spesso diluiti o mal gestiti in progetti inutili o non necessari per evidenti interessi di parte. In tale contesto, la chiusura dell’ultima scuola non è solo un mero atto burocratico ma l’amara realtà di un declino sociale, politico ed economico e non solo scolastico.

E quando una nostra frazione ne è vittima, è l’intera Tricase che soffre (o dovrebbe soffrire) perché da tempo incapace di creare sviluppo e lavoro per sé e frazioni. Non solo per un Piano Coste troppo riduttivo/conservativo, né per un PUG che dopo due anni di riunioni ed elucubrazioni, è ancora in alto mare e dunque non in grado di attrarre investimenti almeno per il turismo.

Né per dare certezze, speranze o illusioni a chi possiede o vuole comprare una casa o un terreno. E così anche per lo sviluppo delle marine, forse unica residua risorsa (fino ad ora negatoci) per creare turismo, lavoro e progresso. Come altrove, la conseguente   economia darebbe fiato anche alle frazioni con alberghi diffusi e centri storici da rendere più attrattivi. Purtroppo ora incide anche la perdurante incuria del territorio e di storici edifici.

Dal castello di Tutino alla torre di Palane, dai rottami dell’albergo Sauli, in capo al porto, alle “serre sfiorite” in zona Donna Maria, dalla casa nativa di G. Pisanelli alla torre del Sasso, dalle tante case “al grezzo” o inabitate/abbandonate alla carenza di parcheggi e marciapiedi (ma non per le auto come succede anche sul marciapiede del nuovo edificio in via Pirandello).

Il nostro non pare proprio un paese, né per pedoni né per ciclisti, né per giovani in cerca di lavoro, né per mamme con carrozzina e disabili in carrozzella. Si ciarla da decenni su una S.S. 275 a quattro corsie, chissà se con passaggio ad Est o ad Ovest, ma trascuriamo importanti strade turistiche, costruite dai nostri avi a due corsie ma da noi ridotte a… una corsia e mezza. Come quel tratto di litoranea che va dal santuario di Marina Serra all’incrocio del Rio.

Alto sul mare, panoramico e piano, con affaccio su una sottostante pineta, la valle e l’insenatura (con i reflui) del Rio. Già servito di illuminazione e fibra ottica, potrebbe essere, con più cura e poca spesa, l’elegante viale di collegamento fra le nostre due marine.

Ma privo di falci e cesoie in mani pubbliche o private, è ora, in gran parte, uno stretto e pericoloso nastro d’asfalto, invaso dagli incolti oleandri ( la stessa incuria si evidenzia da mesi anche l’antica rotonda di Tricase Porto). I nostri ragazzi se ne vanno, i figli li faranno altrove per poi indirizzarli verso altre scuole e mentalità.

I turisti stranieri (e non solo) invece arrivano, e non solo in estate. In tanti transitano in bicicletta su quel tratto di pericolosa litoranea, potenziali vittime della nostra incuria istituzionale e culturale. “Benvenuti nella natura protetta di Puglia” leggono increduli su vistosi cartelli.

A loro che arrivano, ai nostri ragazzi che partono ed ai ragazzini rimasti senza la loro scuola e poi senza futuro lavoro in loco, non ci resta che dire “Excuse me, ma nui simu fatti cusì”.

Meno male che in zona Rio hanno almeno cambiato i pali della luce, sorretti per anni dai fili e non viceversa. Chi ci dà la luce, aveva forse letto dei pali in un recente numero del Volantino.

di Alessandro Distante

“Cercare di intuire l’incanto di una piazza che riesce ad essere interclassista e borghese, politica e vacua, sportiva e festaiola, pettegola e sbruffona. Quella piazza che ancora resiste, non so ancora quanto”.

Era questa la promessa/premessa del libro di Alfredo De Giuseppe “Ore otto sotto l’orologio” scritto nel 2001.

Qualche settimana fa Alfredo, all’interno della rassegna cinematografica del SIFF, ha presentato un documentario (“Un giorno all’angolo”) su quella piazza o, meglio, su tutto ciò che gira intorno all’edicola di Gigi De Francesco, quella stessa edicola intorno alla quale nel 2001 aveva fermato la sua attenzione e le sua macchina fotografica.

Questa volta lo strumento per raccontare quell’angolo di vita tricasina, quel crocevia di persone e di vite, è stata una telecamera fissa, piazzata in incognito per 24 ore.

Una sorta di videosorveglianza, come egli stesso ha detto nel corso dell’incontro di presentazione.

Belle le immagini, soprattutto i primi piani: volti intrisi di vita e di storie, fisse in un mondo senza tempo. E poi il via vai di tante persone e, soprattutto, di tante autovetture, alcune delle quali ferme per lungo tempo in pieno divieto di sosta. In quell’incrocio della vita e delle vite tricasine, che, nel 2001, era il luogo dell’incontro, oggi, sotto l’orologio, tanta solitudine.

Una volta “Alle otto, caffè e giornale, commenti su tutto, grida e cattiverie, notizie sempre fresche. L’incontro è sotto l’orologio”.

Questo accadeva nel 2001, ed oggi? La chiusura del Bar Dell’Abate, posto dirimpetto all’edicola, ha svuotato quell’angolo, niente caffè e niente commenti. Alcuni volti tra quelli fotografati nel 2001 non ci sono più, portati via da un destino infausto; altri ci sono ancora ma non in Piazza ed altri ancora lì, con qualche anno di troppo.

Sulla panchina vicina all’edicola con alle spalle San Domenico oppure sulla soglia di ingresso di quello che fu il Bar, tante vite che svelano una ricchezza nascosta, volti spesso disincantati, espressione di una filosofia di vita apparentemente minore, dai quali traspare tanta poesia e al tempo stesso una tenera malinconia; tante persone a custodire un angolo cruciale della Città e che si alternano in questo compito, nelle varie ore del giorno, con la presenza fissa e rassicurante di Gigi.

Eppure al fondo una solitudine che, forse, non è conseguenza solo della chiusura del Bar all’angolo, ma del mettere all’angolo ogni forma di scambio fatto di pettegolezzo e di politica, di festa e di sbruffoneria, in uno smarrito interclassismo dove prevaleva il gusto dello stare insieme.

Un angolo nei pressi dell’orologio; un crocevia di vite che si incrociano ma che forse non si incontrano; la “Piazza che ancora resiste”, ancora esiste?,

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO BACCHETTA IL SINDACO, MENTRE
IL CONSIGLIERE PASQUALE DE MARCO RITORNA SUI SUOI PASSI

di Nunzio Dell'Abate

Dopo le roventi vicende dimissionarie che hanno visto protagoniste quest’estate le Consigliere Federica Esposito e Francesca Longo nonché l’Assessore Antonella Piccinni rispondere a tono,non c’è pace su a Palazzo Gallone.

Il Sindaco non risponde ad una interrogazione rivoltagli dal capogruppo PD in Consiglio Fernando Dell’Abate ed il Presidente del Consiglio protocolla una nota ricordando al Primo Cittadino la normativa del Regolamento Comunale sulle interrogazioni, l’unico mezzo messo a disposizione dei Consiglieri per esercitare la loro funzione di ispezione, di verifica e di sprone dell’azione politico-amministrativa.

Non è dato sapere se il Sindaco ha poi risposto.

Una cosa è certa, forse sfuggita al Presidente del Consiglio a cui le interrogazioni e le risposte giungono per conoscenza, che ben cinque interrogazioni a mia prima firma giacciono inevase dal lontano agosto dello scorso anno.

Intanto il Consigliere Pasquale De Marco, che aveva criticato aspramente urbi et orbi il Sindaco Chiuri (come ripreso anche dal Volantino in un precedente numero) e che al penultimo Consiglio Comunale non si era presentato facendo andare sotto la maggioranza, stante la concomitante assenza di altri due Consiglieri della stessa maggioranza, è ritornato amorevolmente alla corte di Chiuri.

Complice è stato l’ultimo Consiglio, ove si è rischiato che la maggioranza rimanesse di nuovo senza numero legale per deliberare autonomamente ed in palio c’era l’assestamento di bilancio.

Ad inizio di seduta, Consigliere e Sindaco si sono completamente ignorati, poi quando il secondo ha compreso il rischio che si stava correndo, attesa nuovamente l’assenza di due della maggioranza, è iniziato l’approccio di amorevoli sensi. Sfugge quale sia stata l’argomentazione che abbia convinto De Marco a rientrare nei ranghi.          

All’attento Lettore non sfuggirà, invece, il clima in cui si lavora in Municipio e lo stato di motivazione dei funzionari e del personale dipendente, con le Commissioni Consiliari che frequentemente saltano per l’assenza dei consiglieri di maggioranza, con la mancanza della benchè minima programmazione ed idea di sviluppo della Città, con una costante navigazione a vista sui problemi ed esigenze della comunità e con un Sindaco che appare sempre più distante dalla gente ed avaro di confronto. Ma al peggio non c’è mai fine…

 

Radio Waves Tricase, La nuova Web Radio Tv del Salento

Nasce il 21 di maggio del 2018 da un’idea dell’editore Carlo Aprile che dopo 30 anni di radio ha deciso di abbattere le barriere tra radio e ascoltatori creando uno studio radiofonico di 120 mq dando la possibilità a chiunque di poter accedere in radio e partecipare a qualsivoglia trasmissione diventando parte integrante del programma.

Radio Waves può ospitare fino a 60 persone che possono assistere e partecipare ai vari programmi del palinsesto dalla mattina alla tarda serata inoltre dà la possibilità a chiunque di poter andare in onda sia audio che video come giovani artisti gruppi musicali o dj per potersi promuovere sul territorio.

Una Web Radio Tv aperta a qualsiasi argomento e iniziativa.

La trovate in piazza Castello dei Trane e su www.radiowavestricase.it

o scaricando l’app gratuita: Radio Waves Tricase

La mia colonna

di Alfredo De Giuseppe

Ha fatto scalpore in questi ultimi giorni l’arresto prima a Lecce di 7 persone e poi a Roma di altre 6, oltre a decine di avvisi di garanzia, per l’irregolare assegnazione di case popolari.

A Lecce sono coinvolti ex-assessori, funzionari, consiglieri comunali e vari. Pare che tutte queste persone brigassero in qualche modo affinché gli alloggi venissero attribuiti non in base a punteggi acquisisti ma secondo convenienza politica (scambio di voti) o per favorire semplicemente l’amico/familiare/amante/ che risultava vicino al potente del momento.

Al di là dei fatti di cronaca, ho tentato di capire meglio come funziona l’assegnazione di un alloggio popolare. Sono rimasto meravigliato della differenza di punteggi, regolamenti e tempi di assegnazione fra le varie regioni, addirittura fra i Comuni che in effetti hanno 8.000 regolamenti e canoni differenti (si va dai 12 € mensili di Pescara ai 300 di Milano).

In alcuni casi è necessaria la residenza prolungata, in altri bisogna dimostrare di avere un reddito e in generale le graduatorie sono formate da punteggi complessi da analizzare per chiunque.

In linea di principio sono avvantaggiati nella concessione i soggetti che richiedono l’assistenza dei servizi sociali comunali, quelli che non avendo la possibilità alloggiano presso dormitori pubblici, nuclei familiari con soggetti invalidi e naturalmente famiglie con molti figli o con reddito inferiore alla soglia di povertà, stabilita in genere sotto i 25.000 euro annui.

La cosa più bella è che i bandi escono ogni 4 anni e se uno non vince la lotteria al primo colpo può aspettare anche 8 o 12 anni. Nel frattempo lo stato di necessità è diventato stato di depressione totale. È evidente che, secondo il solito schema italico, brigare con l’amico, raccomandarsi, salire di graduatoria, anticipare i tempi, scavalcare un altro ancora più povero, è il gioco al massacro più empio che si possa immaginare: un gioco violento e assurdo voluto dalla congiunzione astrale di funzionari e politici.

Ma le domande che da anni mi faccio impongono una riflessione sull’essenza stessa di “Casa Popolare”. Perché queste case devono essere costruite in periferia, possibilmente senza servizi, trasporti e negozi? Quale pena punitiva sottende l’attribuzione di una casa popolare? Perché forzatamente brutte dal punto di vista estetico, quasi sempre senza ascensore, senza garage e senza una vita intorno?

E perché per completarle ci si impiega un tempo indefinito, quasi mai inferiore ai dieci anni? Perché costruirle con materiale scadente, dove le infiltrazioni, le muffe e la dispersione energetica sono la regola? Perché l’Istituto Case Popolari è una specie di roccaforte inaccessibile, dove non è possibile avere informazioni di nessun genere?

Ho visto molti Paesi ex-comunisti, dove le case erano tutte uguali, tutte grigie, tutte piccole e miserevoli: in questi ultimi decenni tutte quelle amministrazioni hanno tentato di modificare quello stato di cose con interventi seri, organizzati e ben studiati (anche con abbattimenti).

I quartieri delle ex case del popolo son diventati dei bellissimi quartieri, vivaci, colorati, pieni di cose e di idee. In Italia invece, in quasi tutti i Comuni, questi palazzoni sono rimasti l’emblema della solitudine, della povertà, dell’abbandono.

Nel silenzio generale e soprattutto con un approccio al problema completamente errato, a cominciare dai tecnici, dai sociologi fino ai cittadini comuni, i benpensanti proprietari di belle case e villette. Se io, da bambino, fossi stato “deportato” da un centro storico, stratificato nella sua storia millenaria, in una di queste case lontane da ogni cosa, non avrei avuto il piacere di integrarmi con la stessa società che in definitiva mi aveva discriminato, allontanato, destrutturato nella mia quotidianità.

La povertà economica è divenuta immediatamente povertà culturale e sociale: mi chiedo se sia stato un progetto ricercato (punitivo dicevo), voluto da scelte ben precise oppure nato nell’insipienza di un tempo di necessità e poi mai rivisto per pigrizia o per semplice gioco delle parti.

Non so rispondere e non oso chiederlo neanche agli abitanti delle varie case popolari che in genere hanno le scatole piene di rispondere a quesiti scontati, sentire discorsi retorici e promesse elettorali. La realtà purtroppo è una sola: queste case popolari hanno distrutto le nostre città, hanno degradato le periferie, senza risolvere davvero i problemi dei suoi abitanti, aggravandoli anzi nella sofferenza quotidiana, nella mancanza di bellezza, serenità e armonia.

Queste tre cose erano l’essenza della casa nella testa di ognuno di noi: la mafiosità italiana, l’eterna bugia consolatoria ha prodotto invece le nostre periferie, che ormai non sono fuori città, ma sono la città, nell’infelicità di molti.  

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