di Pino Greco
Tricase, 8 dicembre 2017. Il Segretario di stato di Papa Francesco, Pietro Parolin a Tricase per il 50° anniversario dell’inaugurazione dell’Ospedale Cardinale Giovanni Panico
Venerdi 8 dicembre 2017. Una giornata importante per Tricase e per il suo Ospedale
Il Cardinale Parolin: Sono molto lieto di essere qui, sono 50 anni di attività dell’ospedale Panico di Tricase, in cui c’è stata l’opera della Chiesa a favore dei malati ,a favore delle persone più bisognose più vulnerabili, questo è il segno della carità del Signore. Anche Papa Francesco insiste molto sulla cura e assistenza delle persone in difficoltà, è come classificare queste strutture il braccio operativo della Chiesa. Ringrazio tutti voi per gentile accoglienza porterò il vostro messaggio a Papa Francesco.
Tricase,1967-2017. Ospedale Cardinale Giovanni Panico: Cinquant’anni di attenzione solidale alla persona umana.
Continuano i festeggiamenti per il 50° anniversario dell’inaugurazione dell’Ospedale Cardinale Giovanni Panico di Tricase. Non si tratta di una compiaciuta celebrazione né di un semplice ricordo ma di una forte testimonianza sul cammino fin qui percorso e sui risultati raggiunti avendo sempre di fronte soprattutto la persona sofferente e non solo il cittadino-utente.
Questa è l’Azienda Ospedaliera Card. G.Panico che vede come Direttore Generale, la tricasina Suor Margherita Bramato.
L’ospedale Panico,oggi Pia Fondazione di Culto e di Religione, è una struttura sanitaria cattolica voluta dal porporato tricasino e realizzata dall’istituto internazionale delle Suore Marcelline.
La prima pietra è posta il 4 gennaio 1963 da Monsignor Giuseppe Zocco, parroco di Tricase. I primi pazienti, provvisti di apposita impegnativa assistenziale,sono accolti nella nuova struttura il 4 dicembre 1967. Passano gli anni,il Panico fa passi da giganti nella cultura salentina sanitaria,nella società e nell’economia del Capo di Leuca. L’azienda ospedaliera, crea reddito, sia indirettamente tramite l’indotto produttivo sia direttamente con i suoi quasi mille lavoratori, di cui circa duecento medici.
In questi cinquant’anni,con le più recenti innovazioni tecnologiche ,l’ospedale di Tricase, con la saggia e lungimirante guida delle Suore Marcelline, si propone sempre più come Azienda qualificata nel panorama sanitario salentino e proiettata da protagonista nel terzo millennio.
Siamo ai nostri giorni, l’anniversario è ricco di grandi appuntamenti. Il 4 dicembre scorso, alle 9,30 presso la Sala del Trono di Palazzo Gallone, si è discusso su “Gli ospedali no profit nell’evoluzione del sistema sanitario nazionale”, dove hanno partecipato la Superiora generale delle Suore Marcelline, suor Filomena Pedone, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, con un intervento web, e la presidente del Catholic Health Association Usa, suor Carol Keehan.
Il 7 dicembre, sempre nella Sala del Trono, è stato possibile ascoltare una serie di riflessioni e testimonianze sulla presenza dell’ospedale Panico a Tricase e nel Salento.
Infine,venerdi 8 dicembre 2017. Una giornata importante per Tricase,e per il suo ospedale a far visita all’Azienda “ Pia Fondazione di Culto e di Religione Card. G. Panico”, il Segretario di stato di Papa Francesco, Pietro Parolin.
Parolin ha raggiunto in automobile Tricase, al suo fianco per tutto il percorso salentino, il Vescovo di Ugento-S-M. di Leuca ,Vito Angiuli .A Tricase è stato accolto dal Sindaco Carlo Chiuri, dal presidente della provincia Gabellone, dal prefetto Claudio Palomba e dalle massime autorità cittadine e militari. Il primo incontro all’ospedale Cardinale G. Panico, per visitare e inaugurare il nuovo blocco operatorio dell’azienda ospedaliera.
Subito dopo il saluto alle autorità presenti sulla Sala del Trono a Palazzo Gallone nel cuore della Città.
Infine, solenne concelebrazione eucaristica, nella parrocchia della Natività di Maria Vergine. Dunque, Tricase celebra così, con un ricco programma che andrà avanti per un anno intero, la sua Azienda ospedaliera, dedicata alla figura del Cardinal Giovanni Panico.
In considerazione della festività dell'Immacolata Concezione
(venerdi 8 dicembre),
torneremo in edicola SABATO 16 DICEMBRE
La Redazione
di Giancarlo Piccinni, Presidente Fondazione don Tonino Bello
don Tonino - Gli anni dell’infanzia del piccolo Tonino sono anni difficili, anni di fame e di incertezze. Giorni vissuti con mamma Maria, e i piccoli Trifone e Marcello, “ .. sapore di pane solo pane, profumi di campo e di bucato…”. La chiesa è a quattro passi da casa, la scuola pure. L’incontro con il maestro aprirà nel suo cuore squarci di stupore. “ Si’, perché lui aveva l’incredibile capacità di non spiegarci mai tutto, e per ogni cosa lasciava un ampio margine d’arcano, … non so se per stimolare la nostra ricerca o per alimentare il nostro stupore.
Perché l’arcobaleno dura cosi poco nel cielo?..” L’intelligenza e la bontà del ragazzo non era sfuggita al Parroco, don Carlo Palese, che presto propone al ragazzo e alla famiglia la vita del seminario. Era il mese di ottobre del 1945 quando, con una valigia piena di sogni, varcò la soglia del seminario di Ugento dopo aver salutato i fratellini tra le lacrime e con un calesse compiuto la traversata Alessano / Ugento.
Inizia per Tonino una nuova vita , fatta di preghiera, studio, nuove conoscenze, mentre compagni e educatori subito si accorgono di questo ragazzo bravo e generoso. Dopo cinque anni il giovane Tonino raggiunge il seminario regionale di Molfetta: eccelleva in tutte le materie, giocava a calcio ed amava tutti gli sport, suonava l’organo e la fisarmonica, amava il canto, ed il suo spirito gioviale lo rendeva amabile a superiori e compagni.
I tre anni del liceo in terra di Bari passano in fretta ed il suo Vescovo , Mons Ruotolo, gli propone di proseguire gli studi presso il seminario ONARMO di Bologna, dove si trasferisce nell’autunno del 1953. L’ONARMO ( opera di assistenza religiosa e morale degli operai ) offre un percorso formativo alternativo rispetto agli altri luoghi di formazione per gli aspiranti sacerdoti. Si studia il pensiero sociale della chiesa, si approfondisce la storia del movimento del sindacato, si frequentano le fabbriche e si legge il vangelo con gli operai : si vive insomma una vera rivoluzione formativa. Il giovane Tonino a Bologna dal Cardinal Lercaro riceve gli ordini minori e l’ordinazione diaconale e subito dopo la proposta di rimanere per sempre in quella diocesi.
Tonino ringrazia il cardinale al quale è legato da stima profonda e sentimenti filiali ma sceglie di tornare nella sua terra salentina: un legame che lo accompagnerà per sempre in vita ed in morte. Degli anni passati a Bologna più tardi dirà: “ Un periodo bellissimo. Si vivevano già i segni del periodo preconciliare, e poi c’era la presenza straordinaria del card. Lercaro. Tutto ruotava intorno alla riscoperta della liturgia e dei suoi valori sociali. Di quegli anni ricordo soprattutto il contatto continuo con gli operai, quando il nostro mondo era ancora troppo chiuso, forse diffidente“.
In data 8 dicembre del 1957 don Tonino nella sua Alessano fu ordinato sacerdote da Mons. Ruotolo : l’età non era quella canonica, essendo ancora troppo giovane, ma il vescovo chiede la dispensa.
Il 6 dicembre del 1957 Mons Cremonini , padre spirituale del seminario Onarmo, così scrive a mamma Maria: “
Nella festa a noi tanto cara della Immacolata regina del cielo e della terra, sarà conferita una dignità divina e il potere di dispensare alle anime dei fedeli gli ineffabili doni della grazia al suo egregio e amabile figliolo, dotato di speciali doti di mente e ci cuore, ornamento del nostro seminario “.
di Ercole Morciano 94 sono i giovani tricasini caduti durante la prima guerra mondiale (1915-1918). L’elenco dei loro nomi incisi sulla base marmorea del monumento bronzeo che Tricase tutta, frazioni comprese, ha voluto dedicare ai Caduti delle due guerre, ci fa capire come quella tragedia abbia colpito tante famiglie, molte ancora oggi esistenti, indipendentemente da ogni differenza sociale.
Tra le quasi cento “storie” che andrebbero conosciute va messa in risalto quella del giovanissimo sottotenente Giuseppe Ingletti morto cento anni fa il 22 novembre 1917, e con lui vogliamo ricordare tutti gli altri.
foto inviata da Mario Ingletti
Non è facile scrivere di tali fatti, perché si corre il rischio di scadere nella retorica; occorre invece sfrondare da ogni enfasi mistificatoria l’amara realtà vissuta da tanti giovani al fronte, nell’inferno delle trincee, tra sofferenze indescrivibili, con la prospettiva della morte a causa del nemico - o peggio fucilati dai propri commilitoni in caso di rifiuto o dissenso -, della malattia, dell’indigenza, della dura prigionia, per ideali collegati al compimento del risorgimento forse sconosciuti a molti o, come affermato dalla parte neutralista, per territori che l’Italia poteva ottenere senza entrare in guerra. Vi furono nel corso del primo conflitto mondiale molti episodi di valore e, pur nella convinzione che sono beati i popoli che non hanno bisogno di eroi (come afferma Bertold Brecht), ricordare persone che hanno dato la vita per la patria, che sono morte per un giusto ideale è opera civilmente degna e doverosa.
Giuseppe Ingletti nasce il 12 luglio 1898 da Gennaro, avvocato e più volte sindaco di Tricase tra fine ‘800 e primi del ‘900, e da Maria Antonietta Gorgoni, del patriziato galatinese. Egli è l’ultimo dei maschi della famiglia composta da 9 figli. Diplomatosi all’istituto tecnico, viene mobilitato subito dopo con la sua classe nel febbraio 1917. Non ha ancora compiuto 19 anni; completato il corso allievi ufficiali e conseguito il grado di sottotenente di complemento, è assegnato al I° reggimento di fanteria della brigata “Re”. Al fronte Giuseppe ha già due fratelli più grandi d’età, entrambi giovani ufficiali: Vincenzo e Mario (futuro direttore ACAIT); ne ha perduto un altro, Luigi. Nato il 4 aprile 1895, Luigi è morto il 7 novembre 1915, a vent’anni, per le ferite riportate nel corso del combattimento sul medio Isonzo.
In seguito alla ritirata dopo la disfatta di Caporetto, la Brigata “Re” il 21 novembre si attesta «a presidio della seconda linea di resistenza lungo il costone sulle pendici orientali del monte Tomba», massiccio del Grappa e lungo il corso del Piave. Il 22 novembre gli austro-tedeschi iniziano l’attacco per sfondare la linea italiana e dilagare in pianura. Quella stessa mattina, il sottotenente Giuseppe Ingletti, al fronte da circa un mese, scrive ai suoi famigliari «rassicurando i genitori e chiedendo notizie del fratello Mario». È l’ultima sua lettera. Nel corso del combattimento il giovanissimo ufficiale tricasino è colpito a morte mentre «in testa al suo reparto contrattacca incitando i suoi soldati al combattimento». Gli verrà conferita la medaglia d’argento al valor militare, per aver contribuito con la propria vita ad arginare l’avanzata degli invasori dando prova di coraggio e di abnegazione.
Come tricasini dobbiamo dire grazie a Guido Sodero, medico di professione, che sulla prima guerra mondiale è un’autorità nazionale, perché con grande passione e competenza ricerca e raccoglie foto e documenti d’archivio riguardanti i nostri Caduti; e grazie a Donato Antonaci Dell’Abate per la mostra a soggetto che a palazzo Gallone espone materiale raro e interessantissimo, mettendo in contatto il visitatore con quel tragico periodo bellico di 100 anni fa. La grande storia, le “storie” personali, la ricerca di documenti, di foto e oggetti, le mostre, i centenari, servano nel loro insieme, anche nel nostro ambiente, a rendere sempre attuale il monito “mai più la guerra!”.
di Pino Greco Giudice di Pace a rischio chiusura: il cancelliere va in pensione
Il presidente dell’ordine degli avvocati, Roberta Altavilla:
queste strutture devono essere a sevizio dei cittadini è importante la loro funzionalità.
Fernando Melcarne , dipendente del Comune di Tiggiano, figura indispensabile per il funzionamento dell’ufficio di giudiziario, va in pensione.
Tricase, e’ sabato 2 dicembre. In una affollata assemblea, gli avvocati hanno convocato i sindaci, non tutti presenti, del comprensorio dei Comuni di Tricase, Castro, Diso, Miggiano, Montesano, Specchia, Tiggiano, Andrano , nella sede del Giudice di Pace di Tricase.
Alla riunione era presente l’avv. Roberta Altavilla, presidente dell’ordine degli avvocati.
L’oggetto dell’incontro è quello di sollecitare la nomina di un cancelliere, che prima affianchi e poi sostituisca il funzionario Fernando Melcarne, che avrà il collocamento in pensione la prossima estate
La carenza di personale è purtroppo oramai un problema frequente per gli tutti gli uffici giudiziari nazionali, e in questo periodo tocca particolarmente la sede di Tricase, laddove il personale amministrativo è già ridotto ai minimi termini.
Tutti i professionisti intervenuti all’assemblea, del resto, hanno ribadito che l’assenza di un cancelliere comporterebbe la soppressione dell’ultimo ufficio giudiziario del territorio, che già negli ultimi anni ha visto negarsi la sezione distaccata del Tribunale di Lecce.
In merito anche l’intervento del sindaco di Tricase, avv. Carlo Chiuri, che invita i collegi sindaci e avvocati ad una maggiore sinergia, ponendo l’accento sul fatto che la Città Tricase, oltre a fornire la sede logistica ( per altro già destinata a futura sede della Compagnia dei Carabinieri), mette già a disposizione due impiegati comunali dei tre funzionari di cui si avvale l’ufficio.
Il primo cittadino, inoltre, auspica un maggiore impegno delle istituzioni forensi anche a livello Ministeriale affinchè si realizzi un possibile allargamento territoriale della giurisdizione dell’ufficio del Giudice di Pace di Tricase anche a quei Comuni del Basso Salento, che, con la soppressione dell’Ufficio del Giudice di Pace di Alessano, fanno riferimento a Lecce.
di Nunzio Dell'Abate
A marzo scorso è stato istituito e disciplinato il servizio di volontariato denominato “Nonno Vigile”.
Il regolamento istitutivo della nuova figura di volontariato veniva licenziato all’unanimità dalla Commissione Regolamenti, di cui ero Presidente, dopo una lunga istruttoria e di concerto con l’allora Responsabile del Settore.
Lo strumento normativo ha dovuto fare i conti con l’art.11 del Codice della Strada che inibisce a soggetti estranei alla Polizia la tutela ed il controllo sull’uso della strada. Giocoforza ha privilegiato l’aspetto sociale di inclusione delle persone di una certa età, piuttosto che quello di regolamentazione del traffico veicolare negli orari di ingresso e di uscita degli alunni dai plessi scolastici. Esigenza questa, invece, sempre più avvertita da genitori e personale scolastico.
“Deve stazionare sul marciapiede presente dinanzi alla scuola assegnata invitando i minori ad utilizzare l’attraversamento pedonale ed, eventualmente e solo ove occorra, accompagnando gli stessi dopo essersi accertato che i veicoli si siano arrestati, senza procedere ad alcuna intimazione nei confronti dei conducenti dei veicoli” (vedi art.6 del Regolamento). Pertanto, il Nonno Vigile non può interferire o sostituirsi all’Agente di Polizia, ma può essere utile a “segnalare eventuali anomalie e necessità di intervento alla Polizia Locale”, se pur “senza procedere a contatti verbali con eventuali trasgressori”.
La precedente amministrazione non diede avvio al servizio e nel corso dell’ultima seduta consiliare si è deciso di farlo partire.
Ora ben venga la nuova figura di volontariato ed anzi auspichiamo una massiccia adesione da parte dei nostri anziani concittadini, ma essa non sarà sufficiente ad ovviare alle quotidiane criticità di circolazione, viabilità, sosta e parcheggio all’esterno degli istituti scolastici negli orari di punta. Si pensi solo a quanto accade ogni giorno in via Umberto I°. Necessitano indubbiamente altri interventi, sia di mezzi che di personale dedicato.
Ecco la ragione della nostra proposta, formulata in Consiglio sotto forma di emendamento: “impegnare la Giunta Comunale affinchè ponga in essere, di concerto con gli uffici preposti, tutte le azioni e gli accorgimenti finalizzati ad assicurare la piena incolumità e sicurezza degli alunni negli orari di entrata e di uscita dai plessi scolastici”.
Inspiegabile il rigetto dell’istanza da parte della maggioranza e della restante minoranza. Vorrà dire che i Nonni Vigili si vedranno costretti a fare i supplementari.
di Pino Greco Per il potenziamento del “ Porto Ecomuseo ” di Tricase
Tricase avrà a disposizione 631mila euro da spendere nei prossimi mesi per riqualificare tutto il proprio patrimonio portuale. Dall’Europa arriva un finanziamento per il potenziamento del “Porto Ecomuseo” di Tricase, riconosciuto dalla Regione nella scorsa estate. Attraverso il progetto Muse, finanziato nel suo complesso con 2 milioni e 800mila euro nell’ambito del programma di cooperazione transfrontaliera Grecia-Italia 2014-2020, Tricase come comune capofila avrà a disposizione 631mila euro da spendere nei prossimi mesi per riqualificare tutto il proprio patrimonio portuale.
La somma andrà a valorizzare i siti di pregio ad alto valore artistico, culturale e naturale dell’area di Tricase, ma anche delle città greche di Corfù e Messolonghi favorendo lo sviluppo di «attività turistiche sostenibili ed esperienziali in grado di migliorare la competitività dei territori all’interno del mercato turistico internazionale, con l’obiettivo di creare un network di Porti Museo per la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell’area transfrontaliera Grecia-Italia», si legge nel progetto.
I Porti museo, previsti dal progetto, saranno realizzati attraverso il recupero infrastrutturale e funzionale di alcuni manufatti presenti nelle tre aree, oltre che tramite alcune azioni di recupero e sistematizzazione del patrimonio immateriale (tradizioni, racconti, testimonianze, ricette, antichi mestieri e altro) legato al mare e alla costa. E in tutto questo, si aggiunge anche la diffusione e fruibilità dello stesso patrimonio immateriale garantita attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali come app e realtà aumentata.
A Tricase, spiega il sindaco Carlo Chiuri, si prevedono azioni di ammodernamento infrastrutturale della “Scuola borgo pescatori” al cui interno daranno ospitati laboratori di antichi mestieri del mare, di “Avamposto Mare” struttura destinata alla ricerca innovativa in questo settore e poi saranno potenziate le attrezzature e gli arredi. Al progetto partecipano anche l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari, il comune di Messolonghi, l’autorità portuale di Corfù e l’Erfc europeo.
«Mi sento orgoglioso e soddisfatto per la città per questo importantissimo progetto - dice il sindaco Chiuri. Sarà una soddisfazione per le professionalità del territorio e una occasione di sviluppo sotto il profilo turistico e di tutto ciò che è legato al mare. Questo progetto rientra all’interno di un percorso finalizzato alla destagionalizzazione e alla fruibilità di Tricase e Tricase porto tutto l’anno».
di Giuseppe R.Panico Sono passati 100 anni dal disastro politico-militare di Caporetto; il tristissimo evento di una guerra mondiale con già immani perdite e disumani comportamenti;come le decimazioni dei fanti o sparare contro chi arretrava di fronte al nemico. Con Caporetto, si accusò anche di viltà i nostri soldati, colpevolizzando i circa trecentomila prigionieri fatti dagli austriaci ed osteggiando loro (per non invogliare altri ad arrendersi) ogni forma di aiuto.
Quasi una “Vendetta di Stato” che portò tanti a morire; non più rapidamente, dilaniati da cannoni e mitraglie, ma lentamente, di fame e di stenti nei campi di prigionia. La vita valeva ben poco , come anche per quei ragazzi “del 99” (appena diciottenni), schierati sulla Linea del Piave a fermare e poi vincere un nemico che, da aggredito, si era fatto aggressore ed invasore. Passarono pochi lustri e altre decine e decine di migliaia di giovani e meno giovani tornarono a morire.
Non per difesa dell'Italia, ma per un'altra aggressiva guerra, che poi divenne di nuovo mondiale. E dopo l'armistizio (8 sett, 1943), abbandonati a sé stessi , nel peggiore ripetersi della irresponsabilità politico-militare. A Caporetto andò perso, quasi metà del nostro esercito; con l'armistizio, una nuova e ben più disastrosa “Caporetto”portò, a quella che fu chiamata “La morte della Patria”. Una nazione allo sbando con Forze Armate senza ordini e direttive, senza valori e motivazioni, senza una nuova “Linea del Piave” per far fronte alla mutata realtà. Prevalse la irresponsabilità, se non la “Viltà di Stato”, dei grandi capi in fuga da Roma, il caos nazionale, il fango e la vergogna sulle pagine della nostra storia.
Gli ex alleati (Germania) si ritennero traditi, invasero l’Italia, la solcarono con le proprie linee di resistenza contro i nuovi occupanti che avanzavano da Sud: gli Anglo-Americani che, dopo aver bombardato le nostre città, avevano imposto all'Italia un'altra disfatta politica, militare e morale: la “resa senza condizioni”, così inusuale e infamante nella diplomazia di guerra. Circa 40.000 militari vennero uccisi dai tedeschi, altri seicentomila deportati (quanto le intere perdite della prima G.M.) e tanti “inceneriti” .
Se “la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi” , come diceva Clausewitz, nel suo (un tempo) celeberrimo libro “Della Guerra”, forse non basta solo ripudiarla, come fa la nostra Costituzione, se poi i cittadini non sanno prima ripudiare la cattiva politica che la può causare, o che non la sa gestire o decentemente uscirne o che, in tempo di pace, pur senza cannoni e mitraglie, causa “Caporetti” sociali ed economici.
Come la fuga dei nostri giovani all'estero, spesso i migliori, lasciati senza lavoro e futuro, o in casa dei genitori come “anziani” e assistiti “bambocci”; come la crescente povertà o come l'afflusso continuo di centinaia di migliaia di stranieri che poi assistiamo e supportiamo, o ancora quell'altissimo livello di corruzione, inefficienza ed evasione tollerato o favorito da una politica sempre più debole e “mafiocratica”. Sono oltre settanta anni che l’Italia, pur presente per missioni di pace in altri paesi in guerra, è lontana dalla “Morte della Patria”.
L'Unione Europea, la NATO, l'ONU etc hanno contribuito, attraverso una nuova cultura e diplomazia internazionale, a farci vivere in pace. La guerra poi non fa più parte di quel travaso di memorie, dai padri ai figli o dai nonni ai nipoti, di privazioni e sofferenze, viltà ed eroismi. La leva sospesa, le Forze Armate ridotte al lumicino e spesso osteggiate, da idealisti e sognatori di un mondo, purtroppo irreale. Non di rado anche nei meri compiti di difesa nazionale e dell'ordine civile, senza il quale non vi può mai essere civiltà.
“Si vis pacem para bellum” , se vuoi la pace preparati alla guerra (almeno contro le aggressioni o per accordi fra nazioni) dicevano i Latini e lo dice ancora chi, da statista, ha un senso dello Stato e della storia. Un senso non da politici trasformisti che hanno reso l'Italia, più che una penisola geografica, una inaffidabile isola politica, di bassa levatura ed esposta ad ogni mareggiata.
Anche ad una immigrazione non limitata all'asilo politico, e dunque da integrare, ma di migranti economici o “di convenienza” lasciati poi all'altrui sfruttamento ed alla continuità delle loro sofferenze. Un “esercito” di stranieri che manteniamo ed assistiamo, affiancato poi da un' altra “armata” di mezzo milione di stranieri “invisibili” e che, come tali, possono permettersi , quasi indisturbati, illegalità e criminalità.
Facile ambiente per i reduci ( o criminali di guerra) dell' ISIS, ormai sconfitto e che ricorda il Sud America per i criminali nazisti, dopo la 2° G.M. Altro che impegnarsi a rispettare le nostre regole e la nostra civile convivenza, come dice anche il Papa.“Aiutiamoli in casa loro” si dice spesso, quando “casa loro” è ormai quella che era prima casa nostra (nella sola Roma sono ormai un centinaio gli edifici pubblici e privati occupati da “invisibili” o poco visibili).
Sembra vivere una nuova, pur lenta, incruenta e celata “Caporetto” con l'urgenza per una “linea del Piave” per nulla sentita. Contro l'Italia per la sua facile e discussa accoglienza, la “linea del Piave”, la fanno ormai gli altri paesi vicini. Muri e filo spinato, militari alle frontiere, controlli su treni e automezzi, successo di partiti anti-immigrati etc.
Dalla “Morte della patria” eravamo risorti; da quella che sembra l'isolata agonia di una nazione, pare oggi difficile riprendersi. Forse perché le vere “caporetto” sono quelle formative dell'insieme scuola - famiglia e dunque dei cittadini e dei loro politici. Incapaci questi di approvare, se non in questi giorni e dopo 71 anni di provvisorietà, anche il simbolo (insieme alla bandiera) della nostra identità: l'inno nazionale (di Mameli). “Fatta l'Italia , facciamo gli Italiani”, diceva Massimo d'Azeglio un secolo e mezzo fa. Chissà cosa direbbe oggi con immigrati etc.
Dalla “Morte della patria” eravamo risorti; da quella che sembra l'isolata agonia di una nazione, pare oggi difficile riprendersi. Forse perché le vere “caporetto” sono quelle formative dell'insieme scuola - famiglia e dunque dei cittadini e dei loro politici. Incapaci questi di approvare, se non in questi giorni e dopo 71 anni di provvisorietà, anche il simbolo (insieme alla bandiera) della nostra identità: l'inno nazionale (di Mameli). “Fatta l'Italia , facciamo gli Italiani”, diceva Massimo d'Azeglio un secolo e mezzo fa. Chissà cosa direbbe oggi con la parola patria ormai ovunque scomparsa.
"Chiamami Maestro"
a Palazzo Comi in ricordo del Prof. Donato Valli
Sabato 2 Dicembre - Ore 17.30
Salone dell'Accademia Salentina - Palazzo Comi di Lucugnano
La Biblioteca Comi di Lucugnano, in collaborazione con la LUPSSU (Libera Università Popolare del Sud Salento Unito) e il Comitato Pro-Palazzo Comi "Casa della Cultura", organizza un pomeriggio di incontro e riflessione in ricordo dell'indimenticato Prof. Donato Valli.
Appuntamento Sabato 2 Dicembre p.v. presso il Salone dell'Accademia Salentina a Casa Comi per la condivisione di letture e testimonianze in ricordo dell'impegno del Prof. Donato Valli che si è sempre battuto per la crescita culturale e sociale del Salento e, in particolare, del Capo di Leuca.
Donato Valli, prima allievo e poi amico fraterno di Girolamo Comi, è stato uno dei frequentatori più assidui di Casa Comi e uno dei maggiori conoscitori dell'opera e della psicologia stessa del Poeta di Lucugnano.
Donato Valli è nato a Tricase il 24 Febbraio 1931. Allievo di Girolamo Comi, Valli è stato professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell'Università del Salento, della quale è stato preside e rettore, nonché uno dei fondatori assieme a Giuseppe Codacci Pisanelli. La sua attività scientifica e di ricerca è stata incentrata prevalentemente sulla letteratura italiana del XIX e XX secolo, sull'ermetismo e soprattutto sulla letteratura salentina. È stato direttore con Oreste Macrì della rivista L'Albero dal 1970 al 1986. Fu autore di svariate pubblicazioni. Studioso dei secoli XIX e XX, si è occupato in particolar modo di Manzoni, del purismo letterario ottocentesco, delle poetiche protonovecentesche e dell’ermetismo. È autore di numerose ricerche sulla letteratura salentina, della quale ha curato anche la prima ricostruzione storico-critica dall’Unità ai giorni nostri. Insieme con Oreste Macrì ha diretto la rivista "L'Albero" dal 1997 al 1986. Ha pubblicato i volumi: "Saggi sul Novecento poetico italiano" (1967); "Romagnosi e Manzoni tra realtà e storia" (1969); "La cultura letteraria nel Salento" (1971); "Anarchia e misticismo nella letteratura italiana del primo Novecento" (1973); "Girolamo Comi" (1977); "Storia degli gli ermetici" (1978); "Letteratura dialettale salentina dall’Otto al Novecento" (1995); "Dal frammento alla prosa d'arte" (2001); "Novecento letterario leccese" (2002); "Storia della poesia dialettale nel Salento" (2003).
Girolamo Comi è nato a Casamassella (Le) il 23 novembre 1890. Uomo di nobili origini (era Barone di Lucugnano, in provincia di Lecce), dopo aver compiuto studi irregolari in Svizzera dal 1908 al 1912, esordì a Losanna con la raccolta Il Lampadario (1912) e si trasferì a Parigi, dove venne a contatto coi principali esponenti della poesia simbolista del primo Novecento. Tornato in Italia per il richiamo alle armi nel 1915, fu presto riformato e dichiarato inabile alla guerra grazie all'intercessione del potente zio Antonio De Viti De Marco. Sposatosi nel 1918 con Erminia De Marco, dimorò dal 1920 al 1946 a Roma, dove entrò a far parte dei cenacoli poetici orfico-misteriosofici che esistevano negli anni venti nella Capitale, frequentando tra gli altri Julius Evola e, in seguito, Nicola Moscardelli ed Ernesto Buonaiuti. Dapprima frequentò il salotto romano della baronessa Emmelina De Renzis dove entrò in contatto con le idee steineriane, rimanendone influenzato, e dove conobbe Arturo Onofri stringendo con lui un sodalizio poetico. In seguito fece parte del sodalizio magico-esoterico noto come Gruppo di Ur, pubblicando sulla rivista del gruppo alcune parti della poesia Cantico del tempo e del seme (oggi in Krur 1929. Roma, Tilopa, 1981, pp. 274-276.). In seguito collaborò con lo stesso Evola scrivendo per la rivista La Torre e per Diorama Filosofico (inserto di Regime fascista, diretto da Roberto Farinacci)[1].
Dal 1920 aveva ripreso l'attività poetica, e al 1933 è databile la sua conversione al cattolicesimo. Successivamente, il poeta sviluppò un particolare concetto di "cattolicesimo aristocratico" e si avvicinò all'ortodossia fascista, alternando il prosieguo della scrittura poetica a prose di carattere politico-filosofico-morale (Aristocrazia del cattolicesimo, 1937). Nel 1946, separatosi dalla moglie, tornò stabilmente nella sua tenuta di Lucugnano, dove diede vita all'Accademia Salentina e alla rivista letteraria L'Albero, oltre al particolare esperimento economico dell'Oleificio Salentino, un tentativo di imprenditoria solidale che portò in breve tempo il poeta alla rovina finanziaria, nonostante la raccolta poetica Spirito d'Armonia (1954) gli avesse conferito un discreto successo di pubblico.
Oppresso da problemi economici, nel 1961 vendette il palazzo avito alla Provincia di Lecce per destinarlo a pubblica biblioteca, rimanendovi in qualità di custode e bibliotecario, e nel 1965 sposò la sua domestica Tina Lambrini, al suo servizio dal 1948 che col passare degli anni era divenuta anche un affettuoso sostegno morale. Morì confortato dall'affetto dei suoi paesani, che lo avevano spiritualmente e materialmente sostenuto durante gli ultimi poveri anni di vita. Morì nella sua casa di Lucugnano il 3 Aprile del 1968.
"Chiamami Maestro" ci riporta a un pomeriggio quasi intimo e delicato che si propone di radunare, in quella che fu la sala riunioni dell'Accademia Salentina, amici, allievi e cittadini in ricordo di una delle persone che più hanno dato lustro e prospettiva alla comunità salentina. Racconti, pensieri, immagini e ricordi.
La partecipazione è libera e Casa Comi è pronta ad accogliervi.
Appuntamento alle ore 17.30 di Sabato 2 Dicembre. Per informazioni chiamare in Biblioteca al numero 0833/784537 o inviare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
di Pino Greco Roberto Sodero, è nato a Tricase il 3 Aprile 1981.
Quella del centrocampista azzurro è una storia tutta da raccontare. Un campione della nostra Città, di cui siamo orgogliosi e fieri,c’è. Un centrocampista della Nazionale Italiana Calcio Amputati che ci regalerà emozioni azzurre, c’è. Si chiama Roberto Sodero. Anima e cuore Mondiale
Sin da piccolo cerca di dribblare un avversario molto più ostico di quelli che si trovano oggi sul rettangolo verde di calcio: la Sindrome di Klippel Trenaunay. L’avversario intacca la gamba destra di Roberto. La malattia con il passare degli anni diventa molto asfissiante, tanto da portare i medici all’amputazione dell’arto all’età di 22 anni. L’amputazione gli porta via una parte del corpo, ma non la forza di ripartire con maggiori stimoli. Il centrocampista della Nazionale italiana amputati, trova una vera e propria liberazione. Roberto diventa un concentrato di volontà dove niente è impossibile, un esempio per chi si vergogna della propria disabilità. Infatti, il futuro mediano azzurro completa gli studi universitari con una laurea in ingegneria informatica, trova subito lavoro e si sposa. Inizia anche la sua vita sportiva. Fatta per un breve periodo da nuoto e tennis, fino al calcio. La preferita di tutte le discipline. E ,di certo,quella che più lo ha reso più celebre.
Il tutto inizia a 31anni,racconta Roberto,quando guardando un servizio al TG sono venuto a conoscenza di un gruppo di ragazzi amputati, che rispondendo all’appello di Francesco Messori, stavano formando la Nazionale Calcio Amputati Italiana. Non ci ho pensato su due volte, li ho subito contattati ed ho iniziato con loro a praticare uno sport che avevo sempre amato, ma avevo solo potuto guardare da spettatore. Sono felicissimo di essermi unito a questo gruppo di ragazzi fantastici, con cui sto condividendo questo percorso.
Oggi Roberto ha 36 anni , è il mediano della Nazionale Italiana Calcio Amputati, uno nato senza un arto, lavorare sui polmoni con dei compiti precisi. L’unico centrocampista pugliese e salentino presente nella rosa che canterà l’inno di Mameli, uno dei venti che con le sue stampelle sarà sempre lì
lì nel mezzo del gioco con la maglia azzurra dove sfiderà i suoi pari grado nel Mondiale del 2018 in Messico. Uno dei tanti ragazzi che all’apparenza hanno qualcosa in meno, ma in realtà hanno molte cose in più: carattere, cuore, anima e grinta.
IL SALENTO ASPETTA LA NAZIONALE. E’ ormai fatta per la visita della Nazionale Calcio Amputati, che il prossimo week end farà visita sui campi di Lecce, per allenarsi a porte aperte e portare sui campi una testimonianza di sport ed entusiasmo, per la vita. L’evento è stato realizzato grazie all’impegno del comitato provinciale del CSI di Lecce e del suo presidente, nonché vice presidente CSI a livello nazionale, Marco Calogiuri. Primo appuntamento alle 9 di sabato, presso il Campo Oratorio “Don Pasquale” via M. Buonarroti di Lecce, dove è fissato il ritrovo per il primo allenamento del collegiale che servirà ai tecnici azzurri, i due emiliani Renzo Vergnani e Paolo Zarzana per testare il momento di forma dei ragazzi in vista dei prossimi appuntamenti ufficiali. Sabato pomeriggio, la Nazionale Amputati sarà in campo alle ore 14.30 presso lo stesso campo per allenarsi con ragazzi amputati che vogliono avvicinarsi a questo sport, per poi concludere una bellissima giornata con una partitella con ex glorie dell’US LECCE. Infine domenica 2 dicembre ore 9 sempre nello stesso campo ultimo allenamento in terra salentina. Ad incoraggiare le “stampelle azzurre” le parole del numero uno del CSI, Vittorio Bosio: “Questa squadra rappresenta un fiore all’occhiello per la nostra associazione, quanto ad inclusione, integrazione ed appartenenza. Ai ragazzi, ai tecnici e a tutti gli atleti con disabilità va il nostro aiuto e sostegno, augurandoci sempre nuovi innesti in rosa”.
Un’emozione particolare sarà per il giocatore salentino Roberto Sodero, che ospita nella sua bellissima città i propri compagni di squadra: “Portare i miei compagni in Salento è per me una grande emozione e motivo di orgoglio. Il nostro obiettivo è quello di far crescere il movimento del calcio per amputati, coinvolgendo nuovi atleti soprattutto a sud di Roma, dove ci sono pochissimi ragazzi che praticano questo sport. Speriamo in una grande risposta della Città di Lecce”.